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Cosa fare di fronte al ricatto capitale di Hamas?

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    Ci sono molte possibili perplessità e riserve che si possono avere sulla politica di Netanyahu prima del 7 ottobre 2023. Si potrebbe persino avere l’impressione che abbia fatto tutto l’opposto di quello che sarebbe stato giusto, razionale e prudente fare, come cercare d’instaurare rapporti di costruttiva fiducia con l’autorità palestinese, avere un atteggiamento ben più intransigente con certi coloni israeliani in Cisgiordania, adottare più stringenti misure cautelari lungo il confine con Gaza.

    Sarebbe in ogni caso un tema troppo complesso per essere discusso qui, dove è invece realisticamente possibile soffermarci sul problema che in questa fase del conflitto tra Hamas e Israele è più urgente affrontare, e che poi a sua volta coincide con ciò che bisognerebbe avere l’onesta intellettuale di chiedersi: cosa avrebbe dovuto fare un qualsiasi capo di governo che si fosse trovato in una situazione analoga a quella del premier israeliano, a prescindere da eventuali errori commessi in passato e dalla lungimiranza o miopia della sua precedente politica? Come avrebbe dovuto reagire al ricatto capitale di Hamas, che intende usare il sangue palestinese, come suoi esponenti hanno esplicitamente ammesso, per giustificare il suo tentativo di sopprimere lo Stato ebraico?

  • Israele
  • Palestina

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Il lettore, il narrare e gli elenchi del telefono

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   Lo scrittore svizzero Peter Bichsel abitò a Bergen, nelle immediate vicinanze di Francoforte, dopo aver ricevuto il premio “Stadtschreiber von Bergen”. Quando si riceveva questo premio era infatti consuetudine risiedere per un anno in città a spese della comunità, assumendo una funzione pubblica di scrittore. Il lettore, il narrare, raccoglie proprio cinque lezioni tenute da Bichsel nel gennaio e febbraio del 1982, quando abitava a Bergen, nella vicina università di Francoforte.

    La convinzione che emerge nell’arco di tutto questo piccolo libro è che la letteratura nasca soltanto nella letteratura, “dove non esistono iniziatori, ma soltanto imitatori che riflettono. E non è la realtà ad essere imitata, bensì la situazione del narrare”. La letteratura è cioè per Bichsel qualcosa di diverso dalla vita ed entrambe non necessariamente hanno bisogno l’una dell’altra, o almeno non ne hanno bisogno in modo simmetrico e proporzionale.

    A questo proposito l’autore riporta un suo incontro con un vecchio saggio della tribù degli Houssa, nel Sahara, il quale era solito raccontare storie per impedire a sé e agli altri di parlare: “raccontare storie per non dover parlare: anche questa – secondo Bishsel - può essere una delle ragioni dell’esistenza della letteratura”, che “non è la vita. Si può vivere senza letteratura. La letteratura è qualcosa di accessorio. Nella letteratura la lingua assume un’altra funzione che nel parlare. La letteratura può scaturire dall’assenza di parola”.

  • Peter Bichsel

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La posta in gioco e la sonnolenza delle democrazie

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    Una ventina di giorni dopo l’attacco sanguinario del 7 ottobre 2023 in Israele, Mousa Mohamed Abu Marzouk, considerato il numero due di Hamas, ha incontrato a Moscail viceministro degli esteri iraniano Ali Bagheri Kani. La posta in gioco era probabilmente la più alta dall’inizio del secondo conflitto mondiale e lo scenario geopolitico non era poi molto diverso. I più pericolosi regimi politici del pianeta sapevano bene di trovarsi di fronte a un’occasione preziosa per infliggere una ferita profonda alle democrazie occidentali.

   Lo stretto legame che sussiste oggi tra Hamas, l’Iran e la Russia, con la Cina nel ruolo di spettatore interessato all’evoluzione degli eventi e incline ad assecondare i loro piani, pone in discussione l’intero ordine mondiale. L’alternativa non è tuttavia, come Mosca e Pechino vorrebbero far credere, tra un mondo unipolare e un mondo multipolare, ma tra un mondo organizzato sotto la supervisione dei paesi democratici, ovvero i cui i popoli sono in condizione di controllare l’operato dei rispettivi governi e d’influenzarne le decisioni, e uno gestito da dittature in cui questo controllo non è possibile.

  • Democrazia
  • Guerra
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  • Russia
  • Ucraina

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Conversazioni d'amore in una stanza vuota

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   Era mai stato felice Evgenij Petrovič? Sì, lo era stato molto, ma da tempo non lo era più. Da quando la donna che aveva amato era scomparsa lui si aggirava nella sua vita senza una meta e la successione metodica delle sue giornate pareva sospesa sopra la membrana sottile di un senso arcano, su una superficie piatta e scivolosa dove non c’era più spazio per alcuna percezione piena della propria esistenza.

    Il protagonista di questo lungo racconto, o breve romanzo, di Nina Berberova - la scrittrice russa nata San Pietroburgo nel 1901 e morta a Filadelfia, negli Stati uniti, nel 1993 – è una persona a tratti spaesata, incapace di cambiare, di vivere come gli altri, e in cerca di un centro per la propria anima. Per emigrare da Parigi negli Stati Uniti cerca di vendere due orecchini, ma una delle due perle è intaccata da un “male nero” che ne abbatte drasticamente il valore. Per racimolare il denaro necessario per partire decide allora di condivide la stanza che ha in affitto con Alja Ivanova, una ragazza che balla all’Empire.

   Il viso di Alja “formava un ovale perfetto e il collo risultava un po’ troppo lungo”; aveva capelli lisci e orecchie strette, un colorito piuttosto pallido, che emanava una certa purezza. Gli occhi e il sorriso non erano mai ambigui e tutto il suo essere “comunicava limpidezza”. Anche il suo corpo, in cui ogni muscolo era ben allenato a causa del suo lavoro, assomigliava al suo viso: “era puro, lindo e vagamente etereo”, e quando il suo profilo era chinato sulla pagina di un libro, mentre con la lunga mano magra si ravviava i capelli, la sua presenza nella stanza dove convivevano lo rendeva stranamente felice.

  • Nina Berberova

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La voce negli occhi e gli abbracci perduti del cuore

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   Se Orfeo non si fosse voltato e se la vita potesse continuare oltre ogni apparente morte? O se alla fine ci fosse davvero, come si chiede Fernando Pessoa, “qualcosa così, come un perdono”? Forse allora questi racconti penetranti e dolenti di Laura Guidugli non sarebbero stati necessari per svelare, una volta di più, che proprio lì, in quanto non rimane, nell’ombra di una perdita definitiva o di qualcosa che finisce senza una ragione plausibile, viene conservato, come in uno scrigno, il senso di ogni esistenza.

    Laura Guidugli - docente di letteratura (al Liceo “Majorana” di Capannori) destinata a lasciare sempreverdi e care memorie tra i suoi studenti per la sua palese confidenza con tutto quanto è umano - in questa silloge di racconti, (Abbraccia dove sei, peQuod editore) narra con limpido sguardo dell’eterno litigio tra la terra e il cielo, di quanto s’insinua tra le attese che aprono squarci improvvisi di vita, tra baci fugaci, abbracci notturni e insonni rammendi di sposi. Queste storie straordinarie e comuni, scavate da dita lievi che trattengono il piacere quasi tattile di assaporare ogni dettaglio, sono percorse da una trina sottile di esitazioni e scoperte.

  • Laura Guidugli

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Theodor W. Adorno, Ernest Ansermet e la musica nuova

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   Theodor W. Adorno considera la convinzione che Beethoven sia più comprensibile di Schönberg un “inganno” e pensa che quanti sono scandalizzati dalle dissonanze siano in realtà spaventati da se stessi: è unicamente per questo che le dissonanze riescono loro insopportabili. In Filosofia della musica moderna (Torino, 1969 e 2002, Einaudi editore) il filosofo francofortese, al quale si deve forse più che a ogni altro la giustificazione teorica della musica dodecafonica, equipara coloro che s’indignano dinanzi alla nuova musica a chi tratta il classicismo viennese come un prodotto di consumo qualsiasi, al pari di “ninnoli casalinghi. In realtà un ascolto adeguato di quegli stessi pezzi di cui l’ometto della metropolitana fischietta i temi, esige uno sforzo ancora maggiore che non la musica più avanzata: e cioè quello di togliere di mezzo la vernice di falsa esibizione e di formula reazionaria ristagnate col tempo”.

    L’equiparazione da parte di Adorno di quanto di musicale viene ancora oggi, dopo uno o più secoli, ascoltato da molti con grande trasporto a dei “ninnoli casalinghi” ha tuttavia il sapore di un elitarismo mascherato da sortilegio dialettico e non pare esente da una certa arroganza teorica. Quest’impressione può trovare una qualche conferma nel fatto che Adorno fa propria la tesi di Clement Greeberg secondo cui l’arte può essere distinta “in falsità e avanguardia”, dove ciò che s’intende per “avanguardia” viene a coincidere con l’unica possibile via autentica, mentre tutte le altre opzioni vengono relegate a manifestazioni culturali false e reazionarie. Si tratta ovviamente di una tesi estrema e forse in parte provocatoria, ma utile per evidenziare l’essenziale autoreferenzialità della posizione di Adorno, che riduce qualsiasi critica alla nuova musica ad una sostanziale incapacità di comprenderla, quando non a una vera e propria malafede intellettuale.

  • Thodor W. Adorno. Ernest Ansermet

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