La lettera di un viaggiatore solitario

               

L'ultimo Onegin       

Senza fine è il destino di Onegin. Lieve, assoluto come la morte è il suo pensiero ancora vivo. Così lo ha immaginato Puskin, congedandolo con reticenza, senza note finali, quando ormai era chiara l’elezione del suo spirito. Non fino ai termini di un ultimo atto ci spinge l’autore. Quei dati conclusivi che legano per sempre un personaggio ad una storia che non può mutare, nel poema di Puskin ci vengono sottratti. Il congedo è chiave per Eugenio di altre porte e scenari solitari. Con delicata dissolvenza, l’autore recide il filo che lo tiene unito al suo personaggio, si distanzia dal romanzo come il suo eroe si allontana dalla vita. Una vasta e oscura  libertà dell’anima rimane oltre l’impronta che la vita ha inciso, oltre il segno profondo dei suoi fatali eventi. L’essere di Eugenio, ci sembra allora di capire, prescinde dal tempo, rinuncia alla sua storia, si elegge a dimensione assoluta.

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Uomini a perdere

  

C’è una buona parte della letteratura contemporanea che ha un ritmo spezzettato e ama imitare l’oralità. Predilige i morti ammazzati e gli assassini da stanare, o in alternativa gesti estremi, frattaglie, personaggi schizzati.

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Uomini a perdere

  

Il titolo della raccolta suggerisce l’idea che la vita abbia riservato ai personaggi un freddo protocollo di sconfitta, una indifferenza esequiale ai loro sogni e alla sorte.      

   Ma la comitas filosofica di questi racconti stempera presto l’asprezza di quel titolo epigrafico e comprendiamo come il perdere sia invece legato a una dolce e ricorrente parabola del vivere, a una lieta rifrazione dei suoi cimenti.

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