Dieci spunti di lettura per i miei studenti

(Ovvero, dieci racconti in dieci righe).

1)   John Harned era impazzito solo in quel preciso momento, non prima. Era impazzito quando aveva visto il cavallo tentare di rialzarsi e con le interiora di fuori ricadere urlando, e non quando ripeteva tra se, con un'espressione terrea e calma sul volto, che il toro era condannato sin dall'inizio.
   A Maria Valenzuela forse John Harned piaceva, ma quel giorno lui era impazzito e nell'arena di Quinto non si erano mai visti tanti morti uccisi in modo tanto abominevole.
   Ora Maria Valenzuela vive in Austria, sposata ad un arciduca, o ad un altro nobile d'alto lignaggio, e quando ripensa a quella giornata si chiede ancora perché John Harned fosse diventato furioso proprio al grido tremendo del cavallo che cercava di rialzarsi in piedi sventrato.
("La Pazzia di John Harned", di Jack London, Passigli editore).

 

2) Bartleby il silenzioso, Bartleby che preferiva sempre di no ed evitava con cura la benché minima deviazione dall'intaglio cieco della sua vita, Bartleby negli ultimi tempi era sopravissuto senza toccare cibo, nemmeno quel poco di cui si era sempre nutrito.
   Per un certo periodo era stato impiegato delle Poste, nell'ufficio delle lettere non giunte a destinazione: messaggere di vita che correvano verso la morte e ogni anno venivano bruciate a carrettate. Nei suoi occhi aperti, raggomitolato ai piedi di un muro torto, ora Bartleby sembrava sognare di poterne ancora conservare qualcuna, un piccolo gesto che gli era rimasto da fare per poter continuare a morire discretamente, senza esagerare. ( "Bartleby lo scrivano", di Hermann Melville, Garzanti editore).

 

3) Ancora un minuto di spiegazioni e Ivan Ivanovic si sarebbe riappacificato con Ivan Nikiforovic: ma mentre questi stava già per offrire del tabacco all'amico gli venne in mente d'aggiungere che, in fondo, tutto era successo soltanto perché lui lo aveva chiamato "papero". Quella parola, pronunciata in presenza di testimoni, ebbe un effetto ancor più disastroso di quando era stata detta la prima volta. Ivan Ivanovic sbiancò in volto e gettò a Ivan Nikiforovic uno sguardo che non ammetteva repliche. Quindi uscì dalla sala misurando piccoli passi colmi d'ira.
   Quando lo rividi, cinque anni dopo, mi salutò con il suo solito sorriso gioviale annunciandomi la buona nuova: che l'indomani il tribunale gli avrebbe finalmente dato ragione nella causa con Ivan Nikiforovic.
("Come Ivan Ivanovic questionò con Ivan Nikiforovic", di Nicolai Gogol', Passigli editore).

 

4) Il grande circo invalido aveva lasciato la piazza dell'ultimo paese. Sulla strada del ritorno, mentre eravamo sballottati dalle sospensioni scassate del furgone, feci vedere a Rocco la fototessera di quando avevo diciott'anni. - Siamo cambiati - disse lui passando la patente a Mariano - siamo cambiati parecchio.
- Assomigliamo ai figli che non abbiamo mai avuto - disse Mariano -agli alberi dei nostri alberi, ai cani dei nostri cani -.
   Io guardavo fuori dal finestrino. Sara era morta. I rami degli alberi erano piegati da un vento forte quando il latrato d'un cane fece irruzione nel fracasso delle ruote sul selciato, e il sole disegnava lunghe ombre nella campagna tutt'intorno ( "Il grande circo invalido", di Marco Lodoli, Einaudi).

 

5) Ho appena ricevuto una lettera da Esmè. Spera che non mi sia dimenticato della nostra conversazione. Non vedo come potrei. Ricordo perfettamente le sue unghie rosicchiate a zero e come teneva le gambe accavallate. Credo di ricordare tutto quello che disse, ed anche la scarna figura della sua governante.
   Esmè spera che al ritorno dalla guerra possa aver conservato tutte le mie facoltà intatte e che lo sbarco possa affrettare la conclusione delle ostilità. Alla lettera acclude anche il suo orologio, che tra le molte virtù ha anche quella di segnalare la velocità di chi lo indossa. Dice che a me può essere senz'altro più utile. Ma il vetro dell'orologio si è rotto durante il viaggio ed ora è sul mio comodino, sopra la sua lettera.
   Cara Esmè, sono molto stanco, e vorrei riuscire a dormire. Prendi un uomo che abbia veramente sonno... e prima o poi sta' certa che riavrà tutte le sue facoltà intatte.
( "Nove racconti", di J.D. Salinger, Einaudi).

 

6) La vacca trottava fuggiasca per la campagna, senza meta precisa, soltanto guidata nel suo vagare da un profumo di bacche. Ma il ragazzo era già sulle sue piste, il laccio assicurato stretto alla sella. Le si avvicinò discretamente, lei in principio distratta. Poi fu il lampo di un solo gesto deciso. La ricondusse dai suoi padroni, festosamente benaccolto nel grande recinto. Sulla soglia apparvero tutte e quattro le figlie, ma la seconda era appena più alta, lattea, inaspettata: ciò che cambiò l'accaduto.
- E' tua! - le disse il ragazzo indicandole la vacca con un cenno degli occhi, e subito le loro due anime si trasformarono nell'amarsi senza preavviso.
( "Sequenze", di J. Guimaraes Rosa, edizioni Sei).


7) Erano appena sbarcati dalla Carolina Madre. Cesare fischiettava con le grandi mani in tasca e Carlone gli ciondolava accanto per strada. La sera s'infiltrava tra le  persone, quando videro una donna camminare davanti a loro. Lei li scorse e si fermò nella luce d'una vetrina, ridendo nel vederli volgere altrove lo sguardo. I due marinai le si avvicinarono piano, ma quando lei sorrise affabilmente - quasi non fosse una professionista - essi risposero esitanti con un altro sorriso, come di ringraziamento. Alla fine la donna si stancò, e dopo avergli gettata un'ultima occhiata interrogativa riprese a camminare. Cesare e Carlone rimasero sul marciapiede a farsi urtare dalla gente; poi ritornarono verso la Carolina Madre senza far parola dell'accaduto. A bordo indossarono i vestiti da lavoro e cenarono da soli sul boccaporto, alla luce d'una candela.
( "Due Marinai", di Mario Tobino, Tuminelli Editore).


8)  Ieri sera Nick è tornato a casa con i Garner. Durante il viaggio hanno incontrato ben nove indiani ubriachi e Joe Garner ne ha tolto uno da sotto le ruote del carro. Poi mi ha raccontato che i figli di Joe dicevano che lui, Nick, si era innammorato di un'indiana, ma che non era vero. Allora gli ho detto che quel pomeriggio avevo visto Prudie nel bosco, proprio dietro il campo indiano. Nick ha voluto sapere se era sola, e gli ho risposto che era insieme a Franc Washburn. Mi ha chiesto se mi erano sembrati felici e gli ho risposto di sì. Ha smesso di mangiare, è rimasto per un po' a fissare il piatto e poi è andato a dormire. Ora si è appena svegliato. Qui fuori fa molto freddo: il vento ha stroncato un ramo della grande quercia e le onde ricoprono la spiaggia. Nick è ancora a letto e guarda fuori dalla finestra, ma non credo che mi veda, perché tiene gli occhi fissi su quel ramo spezzato. (  "I racconti di Nick Adams" di E. Hemingway, Mondadori).

 

9) La notte del 14 Marzo 1939, a Praga, in un appartamento della Zelmergestrasse, Jeromir Hladik, autore della tragedia incompiuta "I Nemici", venne arrestato dalla Ghestapo. Il 29 dello stesso mese fu condotto nel cortile dove alle nove in punto sarebbe stato giustiziato. Nell'attesa, seduto su una catasta di legna, pregò Dio che gli concedesse l'anno necessario per terminare l'ultimo atto della tragedia. Mentre fumava una sigaretta una grossa goccia di pioggia gli cadde sulla tempia scivolandogli lentamente lungo la guancia. Poi il sergente vociferò l'ordine finale e l'universo fisico si fermò, operando in lui il miracolo segreto di sospendere lo scorrere del tempo. Lavorando minuziosamente sulla memoria di ogni esametro rifece il terzo atto due volte e soppresse alcuni simboli troppo evidenti. Finalmente, quando si era ormai affezionato al cortile ed ai volti dei soldati, terminò il suo dramma menzionando la goccia che era rimasta intatta sulla guancia, un attimo prima che la scarica dei fucili stroncasse il suo grido declamato. (  "Il Miracolo Segreto", di J.L. Borges, Sadea editore).


10) Una sera d'autunno Mister Wakefield disse a sua moglie che sarebbe tornato al più tardi entro una settimana e di aspettarlo comunque a cena il Venerdì successivo. Per molti anni alla signora Wakefield tornò in mente il sorriso di suo marito mentre richiudeva la porta dietro di sè, riscoprendovi ogni volta un presagio di calamità. Ma che fine aveva fatto Mister Wakefield? Non era andato molto lontano: aveva semplicemente preso in affitto un appartamento nel palazzo di fronte alla sua vecchia abitazione. In quei vent'anni trascorsi da solo ebbe spesso la tentazione di ritornare a casa, e una volta fu in procinto di risalirne i gradini, ma si decise soltanto in un'altra sera d'autunno, quando fu sorpreso da un temporale mentre osservava l'ombra di sua moglie, nella luce del focolare, stagliarsi sul soffito della sala. - Dove vai? Wakefield - si chiese - vuoi forse raggiungere l'unica dimora che ti è rimasta?... allora discendi nella tomba - disse con decisione a se stesso, a voce alta, facendo ancora una volta ruotare il proprio fato sul suo perno. Poi dette un altro giro e oltrepassò la soglia. ( "Wakefield", di N. Hawthorne, De Agostini editore).