La terza tigre e l'oceano delle teorie

 

Un saggio di Igor Sibaldi su Borges e i “tre mondi” di Popper

 

Karl Popper pensa che non ci sia un solo mondo, ma che ve ne siano tre: nel Mondo 1 ci sono le cose concrete; nel Mondo 2 ci sono i nostri processi mentali e nel Mondo 3 i prodotti di questi processi, e cioè le nostre teorie sul Mondo 1 e sullo stesso Mondo 2. Il Mondo 3 non è quindi secondo Popper solo il risultato dell’attività del Mondo 2, ma retroagisce anche su di esso, dimostrandosi autonomo e capace d’influenzarne il comportamento in maniera decisiva. Il mondo 3 è reale in un senso diverso da quello in cui lo è il Mondo 1, dato che mentre quest’ultimo è fatto da rocce, acqua e alberi al Mondo 3 si accede attraverso un apparato linguistico o simbolico, e cioè attraverso parole e numeri. Mentre i primi due mondi sono nel tempo, il Mondo 3 è atemporale: una volta nata, una teoria scientifica o un’opera letteraria possono rimanere sullo sfondo dello scorrere del tempo in eterno, come le idee di Platone e il mondo iperuranio, che costituiscono uno dei primi modelli del mondo 3. L’Iliade o i Principia di Newton, in effetti, sono sempre gli stessi, sebbene naturalmente siano destinati a invecchiare i tomi cartacei che possono occasionalmente ospitarli. 

Igor Sibaldi sostiene - in  La scrittura di Dio. Discorso su Borges e sull’eternità, Edizioni Spazio Interiore, 2015 - che questa teoria del Mondo 3 è presente già nelle prime opere di Borges. Ne l’Orbis Tertius, ad esempio, un racconto del 1940,  il narratore dice di aver trovato in un’enciclopedia notizia di un paese non rintracciabile negli atlanti, di un paese sconosciuto in cui “<<le cose si duplicano e tendono anche a cancellarsi e a perdere i dettagli, quando la gente li dimentica>>”. In esso, dunque, il passato risulta modificabile non meno dell’avvenire, altrettanto “plastico e docile”. Anche in questo “Mondo terzo” vi sono i duplicati del Mondo 2, ovvero le idee e teorie prodotte dall’attività mentale umana, oltre che quelli del Mondo 1; ma (cosa questa che Sibaldi non precisa) mentre nella teoria di Popper gli oggetti di questo mondo non svaniscono quando vengono dimenticati o non percepiti, nel borgesiano mondo di Tlön possono dissolversi non appena cessano di essere visti.

 

Una simile dissoluzione non si verifica però nella Biblioteca di Babele, dove tutte le teorie si conservano eternamente, insieme a tutte le loro parti e duplicati quasi perfetti, nel pieno rispetto tanto del principio di ragion sufficiente quanto di quello degli indiscernibili. Il terzo mondo è contraddistinto da una virtuale atemporalità dei suoi componenti: “l’oceano delle teorie” – come lo definì Popper –  che lo popolano è conservato, insieme a molti altri mari teorici, nella biblioteca borgesiana, in cui ogni possibilità teorica e combinatoria non può essere distinta dalla sua effettiva esistenza.

“<<I suoi scaffali archiviano tutte le possibili combinazioni dei simboli ortografici, cioè tutto ciò che è dato esprimere, in tutte le lingue. Tutto: la storia minuziosa dell’avvenire, le autobiografie degli arcangeli, il catalogo fedele della biblioteca, migliaia e migliaia di cataloghi falsi, la dimostrazione della falsità di questi cataloghi, la dimostrazione della falsità del catalogo autentico, l’evangelo gnostico di Basilide, il commento di questo evangelo, il commento del commento di questo evangelo, il resoconto veridico della tua morte, la traduzione di ogni libro in tutte le lingue, le interpretazioni di ogni libro in tutti i libri>>”

Sotto il profilo metafisico non si può nemmeno escludere che <<una sola persona abbia redatto tutti quanti i libri che vi sono al mondo; vi è in essi una tale unità centrale, da non potersi negare che siano opera di un unico, omnisciente individuo>>.

Ma le analogie suggerite da Sibaldi non finiscono qui: così come per Popper ci sono tre mondi, per Borges ci sono almeno tre tigri: “<<quella vera, dal sangue caldo, che decima le tribù dei bufali e oggi,  3 Agosto 1959, sopra un pascolo stende la sua lenta ombra e imprimerà la sua traccia sulla fangosa riva di un fiume di cui ignora il nome>>;<<la tigre dei miei versi, una tigre di simboli e di ombre,una serie di procedimenti letterari, e di memorie di enciclopedia>>; e poi una terza tigre, di cui il poeta andrà inesorabilmente in cerca: <<Questa sarà, come le altre, una forma del mio sogno, un sistema di parole umane e non el Tigre vertebrato che, al di là delle mitologie, preme la terra. Lo so, ma qualcosa mi impone questa avventura indefinita insensata e antica, e persevero cercando nel tempo della sera l’altro tigre, che nel verso non sta>>”.

Sibaldi riconduce questa terza tigre, “<<che non sta nel verso>>”, al Mondo 3 di Popper, interpretandola come un suo equivalente simbolico. Tuttavia, essa può essere ritenuta “terza” solo per approssimazione, dato che sembra piuttosto alludere a una tigre “quarta” rispetto alle tre ipostasi popperiane, e cioè ad una tigre ancor più compiutamente reale, quella che tutte le altre salda in un unico ente. Si tratta in effetti, a ben vedere, di quella tigre che non coincide né con quella concretamente esperibile, né con quella elaborata dall’immaginazione del poeta né con quella fatta di simboli e resa in versi, ma di una che necessariamente tutte le trascende ed integra come sue manifestazioni occasionali. In altri termini, essa non può risultare “terza” nella misura in cui, come si può desumere dagli stessi versi di Borges, non si può distinguere la tigre appartenente al secondo mondo da quella che appartiene al terzo: <<Dilaga in me la sera e sto pensando / che il vocativo tigre del mio verso / è una tigre di simboli e di ombre, / una serie di tropi letterari / reminiscenze d’enciclopedia / non la tigre fatale, l’infausta gioia / che, sotto il sole o la cangiante luna, / va compiendo in Sumatra o nel Bengala / il suo ciclo d’amore, d’ozio e di morte>>.

Qui la contrapposizione sembra piuttosto essere tra la tigre che appartiene al primo mondo (dopo “d’enciclopedia"), ed un’altra, appartenente simultaneamente al secondo e al terzo (prima “d’enciclopedia”). Ma perché allora Borges evoca una terza tigre? Perché se questa  <<come l’altre sarà una forma / del mio sogno, un sistema di parole / umane, non la tigre vertebrata / che prima assai delle mitologie / calca la terra?>>

Qual è la ragione della sua terzietà?

La terza tigre di cui ci parla Borges non si trova esattamente nel “terzo mondo” ipotizzato da Popper – così almeno ci pare, a differenza di quanto sostiene Sibaldi - , o almeno questa collocazione non sarebbe sufficiente a individuarla, visto che si può ragionevolmente ritenere che anche quella che è nei suoi versi si trovi lì. E tuttavia le prime due tigri – quella reale e fatale e quella che sta nei versi - alludono ad una terza che non sta nel verso né a Sumatra o nel Bengala. Questa è la tigre che sempre  “<<cercheremo>>”, perché da sempre si agita nel ventre del poeta e segretamente continua a ispirarne i versi, quale una musa che abbia indossato il mantello della polarità opposta e arcana della sua anima. Essa da sempre divora Borges, pur essendo essa stessa Borges: è  una tigre indipendente e trascendente rispetto ai “tre mondi” che potrebbero ospitarla e proprio per questo l’unica perfettamente reale: è la tigre che in sé persevera e si ostina a costituire il richiamo e l’oracolo privilegiato di un’intera vita, nonché a marcare il suo destino, non meno di quanto Moby Dick possa aver segnato quello di Achab.

Borges, ce ne segnala la presenza in un’altra sua famosa poesia:

<<[…] Il tempo è la sostanza di cui sono fatto / il tempo è un fiume che mi trascina, ma io sono il fiume; / è una tigre che mi divora, ma io sono la tigre; / è un fuoco che mi consuma, ma io sono il fuoco. / Il mondo, disgraziatamente, è reale; / io, disgraziatamente, sono Borges>>.

L’analogia proposta da Sibaldi risulta dunque solo in parte persuasiva, sebbene vi sia un indubbio merito nell’averla proposta, dato che non è né banale né poco verosimile quanto l’autore più in generale ne deriva, e cioè che la poetica di Borges verta anche, e in misura non irrilevante,  sulla distanza dei tre “worlds” di cui parla Popper: “sul dolore del saperli essenzialmente separati l’uno dall’altro, e di dover considerare perciò come un’avventura indefinita e insensata l’antico desiderio di abitarli tutti e tre insieme” (p.33). È proprio in questa separazione, nella terra di nessuno in cui si trova la “terza tigre” di Borges che giace il polo d’attrazione, ciò che muove a quella ricerca insensata e antica della tigre in sé, o della cosa pura, che non si lascia catturare e la cui ferita non si lascia lenire. Quale ombra eterna della morte, essa può fornire simulacro vivo di sé soltanto nell’eternità di un “mondo terzo” in un altro senso rispetto a quello prospettato da Popper:  un mondo in cui in cui ogni cosa è insieme evanescente e immortale, perno di un destino e arte che lo trasfigura, scenario ellittico di una possibile altra morte, dell’unica che potrebbe sancire un esito non innaturale e vano della vita.

Igor Sibaldi, La scrittura di Dio. Discorso su Borges e sull’eternità, Edizioni Spazio Interiore, 2015.