La vendetta e l'espiazione

Due trasfigurazioni de "La colpa e la vergogna" lungo la linea gotica

A volte una piccola colpa può avere terribili conseguenze. Su questo tema Abraham Yehoshua ha scritto qualche tempo fa un saggio in cui, oltre a farci ripercorrere le tracce di tali conseguenze nella storia della letteratura, esorta la stessa letteratura ad assumersi le proprie responsabilità etiche non attraverso i discorsi o le teorie degli autori, ma a partire dalle storie narrate e dai personaggi che le popolano.

Un personaggio di questo genere è senz’altro Maurizio, che una colpa vera e propria non ce l’ha nemmeno. Perlomeno, la sua colpa non deriva da un’azione commessa, ma da una disparità della sorte, dal caso di un’ingiustizia che lo ha favorito e di cui vorrebbe offrire riparazione, dalla ribellione istintiva a un’iniquità metafisica ancor prima che politica o sociale.

 

L’ultimo romanzo di Franco Petroni (La colpa e la vergogna, Morlacchi editore, Perugia, 2015, pp.126) ci conduce attraverso i sentimenti della colpa e della vergogna a sondare un desiderio di vendetta che solo per caso non si realizza e, soprattutto, il desiderio d’espiazione del protagonista e narratore. Maurizio infatti non si perdona d’essere sopravvissuto a cinque amici della sua infanzia trucidati nel 1944 a Sant’Anna di Stazzema. Sebbene riconosca e approvi le ragioni della non violenza, non si sente in diritto di perdonare per ciò che è stato fatto ad altri. I moventi essenziali del suo destino sono dunque contraddittori, alimentati da un profondo e arcano desiderio di giustizia.

Anche Caterina se ne assume, di responsabilità, perché lo protegge e sa lasciarlo solo con le sue angosce. Accetta quietamente l’inutilità della propria vita e Maurizio l’ama specialmente per questo, in un modo ad un tempo marginale e pieno, con una comprensione di lei che in alcuni momenti sfiora l’ammirazione e alimenta la gratitudine.

Per Caterina non tocca a noi decidere, tramare o eseguire vendette: “altrimenti la violenza non finisce mai”. Sta con Massimiliano, un fascista, e Maurizio pensa che stia con lui perché gli è grata, perché Massimiliano fa all’amore con lei nonostante che Caterina abbia un tumore, mentre Maurizio non ne ha il coraggio, perché i corpi malati gli ripugnano. Ma dopo un lungo bacio impara che starle disteso accanto gli da una sensazione di pace, quella pace che altrimenti non riesce a provare per il suo sentirsi in colpa, per essere stato casualmente privilegiato dalla sorte.

Scrive Nietzsche che la cosa più umana è risparmiare vergogna a qualcuno: Maurizio non voleva risparmiarne a Hermann, il nazista che, a S. Anna di Stazzema, fornì il suo deliberato contributo all’assassinio di adulti e bambini. Così decise di costringerlo a ripensare, a rivedere i luoghi della strage, a rivivere in qualche modo quanto era successo. Lo aveva incontrato di nuovo, dopo tanti anni, sulle spiagge della Versilia, in compagnia di una donna, Federica, che a Maurizio era stata fin da subito simpatica. Ma poi Federica era sparita e lui un giorno riuscì a convincere Hermann a visitare quei luoghi dove nel 44 avrebbe potuto fargli fare la stessa fine dei suoi amici. Non fu ammazzato solo perché si era nascosto in un pollaio. Maurizio glielo disse e si accertò che avesse ben capito, perché la sua sopravvivenza era davvero stata un caso inspiegabile e iniquo.

Quindi lo condusse in un luogo scosceso, sul ciglio di un dirupo quasi verticale lungo il quale due partigiani erano riusciti allora a mettersi in salvo. Maurizio c’era già stato da solo qualche tempo prima: si era recato lì con il preciso intento di trovarsi nella medesima situazione, di condividere la loro sorte, e lo aveva ripercorso, con un sangue freddo che, a ripensarci, ancora lo sorprendeva. Era riuscito a raggiungere la vallata mettendo i piedi uno dopo l’altro sempre sugli appoggi giusti, come un veterano delle montagne. Aveva saputo mantenere la calma e non era stato sopraffatto dalla paura, forse perché non aveva alcuna valida ragione per ritenere di doversi salvare.

Indusse Hermann a sporgersi su quel dirupo. Sarebbe bastata una piccola spinta per farlo precipitare… perché bisognava vendicarsi, perché la vendetta è un dovere e anche la giustizia nasce dalla vendetta. Sarebbe bastato essere presi da questo giro di pensieri e magari lo avrebbe fatto, ma non lo fece. Caterina non sarebbe stata d’accordo, e in fondo era proprio della morte di Caterina che lui voleva vendicarsi col Padreterno, più di quanto non volesse vendicare la morte di quei cinque bambini.

Caterina era morta e ora che era vecchio Maurizio avrebbe voluto avere un pezzetto delle sue ossa, per conservarlo in un vaso da fiori e farvi crescere una viola, o una margherita, o un cespo di nipitella, perché profuma, come sempre profuma chi abbia saputo amare una persona facendosi custode della sua solitudine.

Maurizio e Caterina erano stati soli a lungo, anche quando stavano accanto, e avevano acquisito della vita una debole impressione, come d’un acerbo debole senso, percettibile appena nel loro comune desiderio di franchezza, di condivisione e di giustizia.

Leggere di loro è incontrare due personaggi integri, incapaci di camuffarsi, che non esitano a riflettere sulle contraddizioni più stridenti della vita e a lasciarsi mettere in gioco dai loro pensieri. La dimensione etica delle letteratura è qui in primo piano, chiara ed evidente, come auspicato da Yehoshua, accanto a tutta la potenza di una piccola colpa inesistente, tutta virtuale e metafisica, ma non per questo meno lacerante e reale.