La segreta alleanza di prosperità e giustizia

Un’intervista all’economista e già direttore del World Institute for Development Economics Research dell’università delle Nazioni Unite Giovanni Andrea Cornia.

 

   Il professor Giovanni Andrea Cornia, ordinario di economia presso l'Università degli Studi di Firenze, è stato direttore del World Institute for Development Economics Research della Università delle Nazioni Unite (UNU-WIDER) a Helsinki; del Programa di Ricerca su Economic and Policy dell'UNICEF, a Firenze, e Chief Economist, sempre per l’UNICEF, a New York.  È stato anche Direttore dell'Istituto Regionale di Pianificazione Economica della Toscana. Le sue principali aree di interesse professionale sono la disuguaglianza della distribuzione dei redditi e della ricchezza, le cause della povertà, la crescita economica, il benessere dei bambini, lo sviluppo umano, le cause delle crisi di mortalità, l'economia della transizione e l'economia istituzionale. È autore di 18 libri su questi temi e di decine di articoli su autorevoli riviste scientifiche internazionali.Gli abbiamo fatto qualche domanda per capire qual è il suo punto di vista sul rapporto che esiste oggi nel mondo tra sviluppo economico e diseguaglianza, con qualche riferimento specifico anche alla situazione presente.

     Ancora oggi, nei paesi in sviluppo due delle cause "tradizionali" della disuguaglianza, come la concentrazione della terra e del capitale umano la priorità data allo sviluppo urbano o di alcune regioni, possono spiegare gran parte della variazione della disuguaglianza tra diversi paesi e a variazioni nel tempo all’interno di molti paesi. Secondo lei cosa si dovrebbe fare per ridurre l’incidenza di questi fattori?

Storicamente, la prima ondata di ‘Tigri Asiatiche’ (Corea del Sud, Taiwan, Singapore e Hong Kong   hanno introdotto riforme agrarie ed educativo che ridussero drasticamente la diseguaglianza della distribuzione di tali fattori di produzione - e sviluppato politiche territoriali e salariali inclusive. Lo stesso è avvenuto anche nella seconda ondata delle Tigri Asiatiche (Tailandia, Vietnam, e gran parte dell’Asia del Sud Est – ed anche in Cina) Anche in Europa Occidentale si seguirono ‘illo tempore’ - politiche di questo tipo. Con lo sviluppo economico e finanziario ed il successivo invecchiamento della popolazione, è necessario però adottare anche politiche finanziarie e previdenziali eque, ed avere un qualche controllo sui flussi di capitale.

2)   Attraverso gli effetti combinati di tasse e spese, i governi possono avere un impatto significativo sui livelli di disuguaglianza di reddito.  E le politiche fiscali progressive e di spesa a favore dei poveri possono ridurre la disuguaglianza? Il “reddito di cittadinanza” è secondo lei una modalità efficace e duratura per ridurla?

Certamente. Lo ‘stato sociale’ può avere un effetto massiccio sulla distribuzione finale del reddito, combinando tasse e spesa sociale progressivi. Il “reddito di cittadinanza” ha provato ad andare in questa direzione dal lato della spesa pubblica. Va bene per persone (anziane, handicappate, ecc.) che non possono lavorate. Per gli abili al lavoro, forse meglio è il ‘’lavoro di cittadinanza” in cui lo stato si impegna – come nel caso del programma danese denominato ‘Flex-security’ - a offrire training in nuove professioni e un lavoro (per 3 volte) a chi è disoccupato in età lavorativa. I trasferimenti incondizionati di lungo periodo possono disincentivare di occupazione per gli abili al lavoro e portar a ‘trappole della povertà” e dipendenza dai sussidi.

     3) Se ho ben capito, per calcolare il rapporto ottimale di distribuzione dl reddito si dovrebbe tener conto innanzi tutto del livello di “avversione alla diseguaglianza”, che è più basso negli Stati Uniti rispetto alla media europea, e questo dipende da un insieme di fattori storici, culturali, religiosi e sociali assai complesso. Ma come si può misurare l’avversione alla diseguaglianza?

 Con inchieste statistiche. In cui si chiede ad un campione stratificato di cittadini se la distribuzione dei redditi attuale (con, ad esempio, il reddito per capita dell’1% più ricco) ‘x’ volte superiore a quello del 10 o del 40 % più povero è ok. Quel che si nota è che in paesi fortemente eterogenei e multirazziali (come USA e Brasile) molti cittadini trovano che una distribuzione del reddito disuguale non è fonte di scandalo, mentre l’opposto è vero nei Paesi Nordici che sono molto più omogenei. L’Europa Occidentale ha una avversione per la diseguaglianza abbastanza alta    

4)   Il coefficiente di Gini indica con 1 il caso limite della massima concentrazione della ricchezza ipotizzandola nelle mani di una sola persona e con 0 l’altro caso limite di una sua pienamente paritaria distribuzione. Ho capito che per lei un coefficiente di Gini del reddito netto intorno al 0,30-0,35 sarebbe auspicabile. Un simile coefficiente potrebbe rivelarsi un buon punto di riferimento anche per individuare un possibile criterio di tassazione comune per tutta l’Europa, così da ridurre la concorrenza, forse anche sleale, che esiste ancora oggi tra i paesi dell’UE?

La cifra che le ho menzionato è tratta da uno studio globale. Per l’Europa, tale valore potrebbe essere abbassato un po’ (diciamo un 26-32). E potrebbe essere un benchemarch per quei paesi che usano la ‘tax competition’ (spesso non esclusa esplicitamente dai trattati) e ‘sussidi non giustificati’ alle grandi imprese per crescere più rapidamente e creare lavoro – a scapito degli altri paesi europei. L’UNCTAD stima che a livello globale, paradisi fiscali e tax competition sottraggo circa 200 miliardi di dollari di gettito alle tesorerie dei vari paesi Ma sarà dura da un punto di vista legale modificare tale situazione. Nel caso della Svizzera però ci si è in gran parte riusciti – grazie a forti pressioni USA ed europee.      

5)   Lei ha scritto che i governi possono avere un impatto significativo sulla disuguaglianza e continuare a crescere rapidamente! Ad esempio, se confrontiamo l'andamento della crescita e il livello di disuguaglianza a Taiwan e in Brasile, Taiwan ha registrato una crescita impressionante del PIL pro capite durante il periodo 1980-1998, accompagnata solo da un modesto aumento della disparità di reddito. Al contrario, la disuguaglianza in Brasile è cresciuta in modo significativo da livelli già elevati e la crescita economica è stata solo dello 0,33% all'anno nello stesso periodo. Questo significa che è più probabile che una diminuzione delle diseguaglianze determini una crescita economica piuttosto che il contrario?

Nel caso che lei menziona, Taiwan investì massicciamente denaro pubblico in istruzione – generale e tecnica - (vedi sopra) raggiungendo una equa distribuzione del capitale umano che aiutò le imprese a modernizzarsi e allo stesso tempo a pagare salari adeguati ai lavoratori. Aveva poi redistribuito i latifondi (degli ex colonizzatori giapponesi) a piccoli-medi proprietari e mezzadri che furono incentivati a massimizzare l’output della terra (ora di loro proprietà o con contratti agricoli equi), adottato scale salariali eque, ecc. Tutto questo non è avvenuto in Brasile, dove il peso della fortissima concentrazione della terra, istruzione per pochi, e condizione di inferiorità educativa degli immigrati africani tipica della ‘colonia’ si fa ancora sentire.    

6)   Molti paesi in via di sviluppo spendono ancora di più per la difesa che per la salute e l'istruzione messe insieme. Perché invece sarebbe molto importante che s’investisse nell’istruzione per ridurre le diseguaglianze?

I governi di molti paesi in via di sviluppo sono l’espressione di élites locali che non hanno veramente a cuore il benessere delle loro popolazioni ma, piuttosto, quello delle classi sociali (latifondisti, grandi imprese protette, multinazionali nel campo delle materie prime) che li hanno espressi. Anche i governi che tentano di redistribuire (come Arbenz in Guatemala, Allende in Cile e Lula in Brasile) incontrano un’opposizione formidabile da parte delle élites (che a volte contano su veri e propri eserciti propri). È un indice di mancanza di ‘vera democrazia’. E quindi lo sviluppo della democrazia vera è fondamentale. C’è anche un secondo motivo. In vari paesi in sviluppo la pressione fiscale (specie quella diretta) è molto bassa (sia per motivi tecnici che politici), anche se ha finalmente cominciato a salire negli ultimi 20 anni, specie in America Latina. Grazie a questo, i governi di centro sinistra che han dominato la scena politica negli anni 2000 in America Latina han quindi triplicato la spesa reale per alunno in istruzione, anche per studenti di classe media o povera. Cosa che ci fa ben sperare per il lungo termine.   

 7)   L'aumento della disuguaglianza non è inevitabile in un mondo dominato dal cambiamento tecnologico e dalla globalizzazione. Pensa che tale aumento potrà essere evitato anche durante la pandemia? Ed eventualmente come?

Questa è una domanda da 100 milioni di $. Per evitare che il cambiamento tecnologico (utile in sé) non generi effetti negativi (tra cui ‘rendite educative per pochi’ e ‘rendite da innovazioni – brevetti’ bisogna che il sistema educativo sia – ancora una volta – in evoluzione ed equo. E che la legislazione sui brevetti venga adattata alle nuove circostanze. Come moderare l’impatto della pandemia? È già evidente che le classi sociali meno istruite (che non possono fare telelavoro, ad es. o che lavorano nei servizi diretti al pubblico) saranno penalizzate, qui e nei paesi in via di sviluppo. In questi ultimi, poi, la recessione dei pasi avanzati a seguito di lockdowns causa una caduta di esportazioni, rimesse, turismo, ecc.  Prestiti e sussidi (multi e bilaterali) sono quindi necessari per salvaguardare i bisogni di base – tra cui nutrizione e istruzione. Anche nei paesi avanzati si dovrà far ricorso a sussidi massicci (anche dalla UE) – oltre che ad investimenti in nuovi settori che offrano salari adeguati e la possibilità di una organizzazione del lavoro, e consumi, servizi sanitari che permettano di proteggere la salute ed il lavoro delle persone. Ma siamo solo all’inizio di tale riflessione e bisognerà capire meglio gli ostacoli alla adozione di tali misure in vari tipi di paesi.   

 8)   Lei è stato un collaboratore di Jim Grant, noto per aver lanciato la Child survival revolution e per aver contribuito in maniera decisiva a salvare la vita di almeno 25 milioni di bambini. Che ricordo ha di lui alla guida dell’UNICEF e del World Summit for Children?

 Jim Grant è stato l’ispiratore di un vero cambiamento nei paesi in sviluppo, fissando obiettivi monitorabili in 7 campi – a cominciare dalla vaccinazione – per tutti i paesi. Guidando un’Unicef con 10.000 dipendenti sparsi in 200 paesi che lo seguivano come un santo ha convinto moltissimi donatori e dirigenti di paesi in sviluppo ad adottare questa strategia. Molti degli obiettivi fissati sono stati raggiunti. La Strategia del Millennio dell’Assemblea Generale si è ispirata alla Child Survival Revolution dell’Unicef. Suo padre era un esperto di salute pubblica quacchero, missionario in una Cina allora molto povera. Di certo Jim ha avuto un buon esempio in casa propria.Di Jim io ho ammirato la visione, l’impegno a favore dei bambini e dei poveri, l’abilità politica nel convincere dittatori che era utile per loro occuparsi dei bambini, ecc. Sono stato fortunato a lavorare per 14 anni con una persona con una grande anima e visione del mondo. Ho amato questo uomo come mio padre, ci ha insegnato che si deve e ci si può battere con successo per un mondo migliore.         

9) Se lei fosse l’amministratore unico di una grande azienda, mettiamo la FCA, che tipo di coefficiente Gini auspicherebbe che vi fosse nei paesi in cui vende i suoi prodotti?

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