Gli europei di Carlo Calenda in azione

 

  Ieri è entrato in Azione il nuovo partito di Carlo Calenda.  L’evento era da tempo atteso sia da chi lo temeva, sia da chi aveva già aderito a Siamo Europei. In effetti, negli ultimi anni Calenda è stato capace, come pochi altri leader politici italiani, di rimanere coerente con quanto in precedenza aveva sostenuto e proposto, e questo è sempre un indizio, oltre che di una certa chiarezza d’idee, anche di un certo potenziale elettorale, che può indurre qualche preoccupazione in chi sulla scena politica è già collocato.

  Il nuovo partito, il cui scopo dichiarato è quello di dare una casa a una vasta area dei liberali riformisti italiani, non potrà che muovere da alcuni presupposti fondamentali già contenuti nel manifesto di Siamo europei e in Orizzonti selvaggi. In questo saggio, uscito in libreria poco più di un anno fa, Calenda inquadra la situazione italiana in quella globale partendo dal presupposto che il progetto egemonico dell'occidente sia fondato sul nesso, presunto come vincolante, tra democrazia liberale, sviluppo economico e libero mercato.

   In conseguenza di un tale nesso si è a lungo ritenuto che i valori dell'Occidente potessero essere esportati insieme alle merci. Un simile progetto ha visto però di recente entrare in crisi uno dei suoi presupposti fondamentali, perché gli stessi valori fondanti della democrazia liberale sembrano non riscuotere più la convinta adesione dei cittadini.

 “Secondo un recente sondaggio condotto da World Values Survey – spiega Calenda - solo il 45% degli europei e il 31% degli americani, considera essenziale vivere in una democrazia”. Una tale crisi di fiducia in valori che sembravano consolidati è dovuta a un insieme di fattori, tra cui l’insicurezza economica non costituisce certo una componente di secondo piano. Essa attraversa ormai tutto il mondo occidentale ed è uno dei principali effetti della globalizzazione: “se guardiamo alla distribuzione dei posti di lavoro industriali la quota detenuta nei paesi emergenti è passata al 38% nel 1960 al 75% nel 2010. Una migrazione di massa di posti di lavoro. Oggi sappiamo che i benefici associati al libero scambio hanno un impatto enorme sulla distribuzione della ricchezza e sulla qualità del lavoro”.

 

   Il fatto che lavoro e investimenti si stiano da tempo spostando verso paesi guidati da governi illiberali dovrebbe secondo Calenda preoccuparci, perché rischia di mettere seriamente in discussione la fiducia dei cittadini nella democrazia liberale, ovvero di quella stessa forma di governo di cui Winston Churchill, all'indomani della caduta del Fascismo, tracciava le linee salienti in una lettera indirizzata proprio agli italiani. In essa Churchill spiegava che il popolo deve avere sempre il diritto di rifiutare un governo che esso disapprova ed essere in possesso degli strumenti costituzionali con cui poter esprimere la sua volontà; i tribunali devono essere immuni dalle violenze del potere esecutivo e dalle minacce di violenza delle masse e vi devono essere condizioni uguali per i poveri e i ricchi, per i singoli cittadini così come per i funzionari di governo; ognuno deve poter vivere libero della paura che una sinistra organizzazione poliziesca sotto il controllo di un partito unico possa un giorno bussare alla sua porta e condannarlo senza un processo equo e pubblico. 

   Negli ultimi trent'anni si è però attuata una confezione liberista del modello di liberaldemocrazia cui Churchill fa riferimento. Ovvero, ha preso piede la tesi secondo cui il suo aspetto fondamentale è la libertà economica quale è prevista dal liberismo classico. Questa riduzione del liberalismo al liberismo, che sembra tenere in nessun conto la lezione crociana, ha finito per indebolire la stessa democrazia liberale, disponendone i cittadini a guardare con condiscendenza o rassegnazione a soluzioni autoritarie e non democratiche. Il compito della politica è invece proprio quello di regolare l’attività del mercato, mentre negli ultimi vent’anni essa sembra essere venuta meno a tale compito e a tale prerogativa, lasciando così che entrasse in crisi la fiducia stessa nel sistema democratico.

   Sulla scia di questa crescente sfiducia, poiché i cittadini pretendono protezione e lo Stato democratico non pare in grado di fornirgliela, sono sempre di più quelli disposti ad abbandonare la democrazia per uno Stato autoritario. Questa tendenza costituisce per Calenda un paradosso rispetto al passato, perché le democrazie liberali sono nate proprio per garantire dei diritti ai cittadini e per proteggere le loro scelte individuali dall'ingerenza dello Stato. Ma quando lo Stato nazionale non riesce a proteggere quegli stessi cittadini dalle ingerenze che hanno sulla loro vita potenze economiche transnazionali, capaci di mettere a repentaglio la sicurezza del loro lavoro e la stessa possibilità di costruire un futuro, allora, quando questo accade, lo Stato nazionale può diventare l’unico possibile alleato per i cittadini, o almeno per quelli che si trovano in una situazione meno “sicura” sotto il profilo economico e sociale. La tirannia dell'economia, in questo caso, finisce col predisporre la società a subire dei cambiamenti tanto violenti e intollerabili da favorire il rovesciamento delle democrazie liberali, per favorire quella tirannia della maggioranza che pare in grado di promettere e garantire tutto e il suo contrario: campo libero alla libertà economica e protezione sociale per i ceti più deboli.

   Davanti ai pericoli e alle paure esiste sempre la tentazione di adottare un'idea di Stato “organicistica”, opposta a quella della democrazia liberale. Nella concezione illiberale dello Stato, “la tutela dei diritti viene messa in secondo piano rispetto all'unità e alla coesione per affrontare i nemici”; in essa è anzi destinata a diffondersi quella retorica sul “nemico”, vero o presunto, che da sempre alimenta tanto la coesione nazionale quanto il patriottismo aggressivo. Lo Stato risulta così “sovraordinato rispetto a ogni altra componente della società e a ogni diritto di libertà individuale. Per dirla con Benito Mussolini: ‘per il fascista tutto è nello Stato, e nulla di umano o spirituale esiste, e tantomeno ha valore, fuori dallo Stato’”. 

   Oggi molti regimi illiberali, come l’Ungheria, la Russia e la Cina, costituiscono le “destinazioni favorite di investimenti produttivi e finanziari”. Ciò dipende dal fatto che il “capitalismo può agevolmente convivere con i regimi illiberali”, e per questo non bisogna aspettarsi che corra in soccorso di quella democrazia liberale che gli ha consentito di prosperare per almeno due secoli.

   L'evoluzione di alcuni paesi europei verso forme di democrazia illiberale – espressione che corre tuttavia sempre il rischio di generare qualche pericolosa confusione, perché in realtà non esiste nessuna democrazia illiberale e l’espressione stessa, almeno a nostro parere, è una contraddizione in termini -  finisce invece proprio col fare il gioco di quell’atteggiamento neoimperialista russo che per altri aspetti mostrano invece di temere e ricusare.

   Il loro controverso atteggiamento dimostra però una volta di più il disagio in cui vengono a trovarsi oggi le democrazie occidentali. Se non si riesce a integrare la difesa dei diritti individuali e delle libertà economiche riequilibrando il ruolo dello Stato e quello del privato, rimodulando il rapporto tra comunità e individui, tra diritti e doveri, tra efficienza e giustizia, l’impianto stesso delle società democratiche rischia di crollare.

   Ma per realizzare tutto questo è necessario ripensare e rilanciare la formazione della cittadinanza: non si può cioè prescindere dall’esigenza, avvertita chiaramente già dai liberali del XIX secolo, di avere dei cittadini consapevoli e responsabili, in grado d’interpretare in maniera autonoma e critica il contesto economico, sociale e culturale in cui vivono.

   Come osserva ancora John Stuart Mill nella prefazione dei suoi Principi di economia politica, “‘lo scopo principale del progresso sociale dovrebbe essere quello di preparare, attraverso l’educazione, l’umanità a uno stato sociale che unisca, alla massima libertà personale, quella giusta ed equa distribuzione dei prodotti del lavoro che le attuali leggi sulla proprietà sembrano trascurare del tutto’”. In questo senso, nel contesto della difesa dei più elementari diritti e libertà di ogni cittadino, dell’esigenza fondamentale di una sua adeguata formazione e preparazione alle sfide che i nostri tempi impongono, Calenda sostiene con lungimiranza che persino “l'educazione alla bellezza deve tornare a essere uno degli obiettivi delle nostre società a partire dalla prima infanzia”.

   L’auspicio e l’augurio, per il partito che sta per nascere, non può quindi che essere proprio questo: che sappia formare cittadini più consapevoli e fiduciosi nei valori della democrazia liberale, preparati ad affrontare le non facili sfide che ci attendono, ma anche in grado di apprezzare e valorizzare la bellezza del proprio paese e le sue risorse umane, cosa che potrà accadere solo se la formazione degli stessi cittadini tornerà ad avere il ruolo che merita, perché solo così l’Italia potrà diventare meno burocratica e corrotta, e dunque più civile e più efficiente, un paese capace di nuovo di crescere sotto il profilo economico e culturale, da cui i giovani non debbano più cercare di andarsene e dove i non più giovani possano sperare di trascorrere una vecchiaia serena.