La stalla (racconto di Natale)

 

   Stavano dentro al caldo, Ignazio con Emma e il bambino rannicchiato sul saccone di lana. Giocava con il pallottoliere, mentre fuori cadevano grossi fiocchi di neve. La cavalla e l'asino erano appena dietro la porta, nella stalla adiacente alla cucina, e sbuffavano col naso, specialmente la cavalla. L'odore di sterco equino arrivava nella stanza e a volte era così forte che sembrava capace di muovere la fiamma della candela sulla finestra. Fiammella bene augurante, una mania d'Ignazio, che la voleva sempre accesa di sera, insieme alla lampada appesa da sola al soffitto e all'altra più fioca che stava appiccata al muro, tra il fornello e l'acquaio.

   Al piano di sopra c'erano ancora due stanze, una ricavata dall'altra con un tramezzo di mattoni appena scialbati, dove dormiva il bambino. Sulla parete, dal poggio dietro la casa s'era infiltrato dell'umido, disegnando macchie giallastre ed aloni amaranto dove si erano asciugate.

   Ignazio stava seduto nella penombra, sotto la finestra, a guardare il bianco dei fiocchi cadere. Emma rassettava la cucina come in altre serate, riponeva i piatti nella piattaia, deponeva le pentole ad asciugare sul prolungamento di marmo dell'acquaio.

   Un pentolino risuonò e fuori la neve aumentò il silenzio: dalla finestra si poteva vedere solo la luce di una casa lontana; dentro, quella del fuoco colorava la stanza.

   Il bambino stava buono, come sempre. Ignazio si chiedeva perché non piangesse e non parlasse mai. Eppure aveva compiuto i tre anni e spesso sorrideva da solo, o almeno pareva sorridere, nel caldo del maglioncino azzurro. 

   A volte, nonostante la sua piccola età, sembrava che pensasse a qualcosa d'importante e di serio, perché corrucciava leggermente la fronte e diventava completamente immobile, senza quasi emettere un respiro, fissando un qualche oggetto come se volesse prenderlo al volo, come il gatto quando punta una preda nella sua immaginazione, pronto a spiccare un balzo improvviso.

   La cavalla sbatté lo zoccolo per terra e Ignazio pensò che fosse il silenzio a renderla irrequieta. Provocava anche a lui un vivo disagio, ma anche il piacere per quei piccoli rumori di casa che risuonavano nel tepore per un breve momento.

   Fuori c'era una nebbia vasta e densa, fresca e turchese per un filo di luna disteso sulla neve. Quando il silenzio si raccoglieva così ad Ignazio ogni pensiero sfumava sul nascere, non aveva bisogno d'essere finito, si schiudeva senza lasciarsi coltivare e si trasformava subito nel suo effetto.

   Una folata dell'odore di stalla attraversò la stanza in direzione del camino, da dove risalì in cielo, oltre il grigio buio delle nubi. Emma si era accovacciata vicino al bambino, parlandogli piano. Di notte parlava sempre così, come se avesse paura di disturbare qualcuno. Durante il giorno invece parlava alto e chiaro: lo chiamava dal campo con la sua voce leggera, senza esitazioni nella pronuncia. Lei parlava bene la lingua italiana, come Ignazio non l'aveva mai saputa. A lui piaceva sentire la sua voce senza incertezze, qualsiasi cosa dicesse. Un piacere che non sapeva quasi di provare, ma che sentiva lo stesso in cima alla gola.

   L'odore dello sterco di cavallo era buono, mentre quello delle pecore non gli era mai piaciuto. Il padre d'Ignazio era stato pastore, ma dopo la sua morte lui aveva venduto il gregge: poi con i soldi si era comprato dell'altra terra intorno alla casa ed era diventato contadino. Nonostante avesse acquistato delle macchine per coltivare, teneva ancora la cavalla e l'asino per portare la legna dal bosco. Produceva vari tipi d'ortaggi, e anche del vino, guadagnando tuttavia a stento per vivere.
   Prima che nascesse il bambino Emma era stata a servizio e aveva messo un po' di soldi da parte sul libretto di risparmio: così ora, nei momenti di difficoltà, potevano ricorrere a quel denaro, che però stava per finire.

   Comunque non si lamentavano, perché non sentivano il bisogno di molte comodità: possedevano una lavatrice, un ferro da stiro, il frigorifero e anche la televisione. La sera guardavano insieme il telegiornale e a volte le trasmissioni seguenti, fino a quando lui non decideva all'improvviso di spengerla. Alla televisione tutti gli avvenimenti gli sembravano lontani, ma anche troppo vicini, perché non aveva una percezione esatta di dove accadessero e non attribuiva al luogo molta importanza. Per quell'impressione di vicinanza a volte rimaneva stregato a guardare un programma che non gli piaceva e allora la temeva quasi fosse uno sguardo sinistro che s'infiltrava nella casa, la ferita di un mondo remoto, di cui non poteva comprendere le regole. Durante le discussioni si esprimevano tutti in maniera disinvolta, qualsiasi cosa dicessero sembravano crederci, non avere dubbi. Ignazio li ascoltava senza commenti di sorta, ma interrogandosi su quella sicurezza, sulla perfetta sincronia dei gesti con le parole: a volte provando simpatia per qualcuno, altre con un'impressione di falsità, ma sempre consapevole che la sua opinione non contava, che tutto andava avanti lo stesso: i colori ed i volti s'installavano in quell'angolo della stanza e lui a volte restava avvinto alle immagini senza capirne il motivo.

   Anche Emma guardava la televisione, ma senza lasciarsi coinvolgere, e dopo un po' si metteva a fare altri lavori. Sebbene fossero entrambi giovani, avevano infatti da poco compiuto i trent'anni, non dimostravano un'età precisa. Ignazio era un uomo alto, con delle grandi spalle e delle braccia che sembravano troppo lunghe rispetto al corpo. Lavorava nei campi e sulle piane sopra la casa senza riconoscere la fatica, senza darle nemmeno il suo nome. Si asteneva spesso dal nominare le cose perché aveva quasi l'impressione di cambiarne il senso, temendo che un significato sbagliato o superfluo si nascondesse nelle parole. Nella mente d'Ignazio le parole comparivano con parsimonia e sembravano sovrapporsi a quello che provava. Per questo non gli piaceva pensare a lungo, prolungare i pensieri. Rifletteva appena il tempo necessario per mettere a fuoco una sensazione, soffermandosi su quest'alone di ogni impressione che nasceva. A volte le parole gli sembravano provenire da un luogo distante, dove tutto era chiaro e ordinato. Le sentiva arrivare da sole, senza che lui le avesse chiamate o prescelte. Gli sembravano i messaggi di un'altra persona più intelligente di lui, che aveva già pensato tutto e cui non si poteva replicare nulla. Potevano assumere la forma di domande nuove, o di risposte a domande che non si era accorto di porsi. Le domande stavano addormentate nella sua mente e le risposte erano pronte a risvegliarsi al primo richiamo, ad animarsi per un nonnulla trasformandosi in frasi che gli venivano in mente.
   La luce del sole, l'umido dell'aria d'inverno e la stanchezza nelle braccia che s'indurivano dopo molte ore di lavoro potevano in questo modo assumere la forma di una domanda, e questa restare a lungo segreta, tacere, provocarlo senza annunciarsi.

   Nemmeno il suo sentimento per Emma aveva per lui un aspetto consapevole. Era una cosa certa, che aveva provato fin dall'inizio, come del resto anche lei, ma non se l'erano mai detto. Emma era la figlia di un secondo cugino di suo padre e lui l'aveva vista qualche volta da bambino, quando giocavano insieme, e poi da ragazzo la conobbe meglio a una festa dove tutti ballarono. Si guardarono a lungo dai lati opposti della tavola dove stavano seduti, senza mai distogliere i loro guardi, senza mostrare alcuna timidezza.  In seguito non si rividero per un lungo periodo, fino alla cerimonia per la morte del padre d'Ignazio. Quel giorno lei lo salutò come gli altri, senza fare alcun gesto particolare, ma si trattenne da sola vicino al luogo dove veniva sepolto.
   Il giorno successivo Ignazio andò a trovarla e le domandò se volesse sposarlo. Emma non gli dette una risposta immediata, chiedendo un giorno di tempo per decidere. Ignazio rimase a dormire a casa di lei, che invece non riuscì a prendere sonno. Tuttavia non ne parlò con nessun famigliare, perché non sapeva cos'altro avrebbe dovuto farla decidere se non il fatto d'essere sicura di non sbagliarsi.
   L'indomani mattina, dopo colazione, dette il suo assenso davanti alla finestra della sala, guardandolo senza sorridere. Le sue guance nella luce del sole a lui sembrarono del colore di una pesca matura, tanto che gli parve quasi di percepirne il profumo. Al matrimonio furono invitati tutti i parenti, anche quelli che non frequentavano abitualmente e che poi non avrebbero forse rivisto. Piovve l'intero pomeriggio e verso sera la mamma d'Ignazio si trasferì ad abitare dalle sorelle, nel paese vicino, in modo da lasciare ai giovani sposi la casa paterna di lui, dove in previsione dei figli non c'era posto per tutti.
   Quella notte fecero per la prima volta all'amore e ad Ignazio, sebbene avesse l'impressione di conoscerla già per aver giocato con lei da bambini, la sua pelle chiara parve troppo morbida, d'una consistenza poco reale. Invece ad Emma le sue mani lungo i fianchi e sul viso parvero una parte della sua vita già vissuta, qualcosa che le spettava. Non si stupì di provare dolore e piacere ad un tempo, perché lo sapeva, sebbene non conoscesse nessuno dei due e le sembrassero nuovi come la sensazione delle mani sui fianchi e sui seni. Quando Ignazio cessò di muoversi sopra di lei Emma sentì il proprio corpo finalmente suo, vivo come non ricordava di averlo mai sentito, nemmeno quando si lavava o da ragazza le era capitato di toccarsi. Anche quel senso di piacere e meraviglia era stato diverso, perché ora non era più solo. Appartenere ad Ignazio infatti la faceva sentire più salda in quel che provava, più risoluta nelle sue decisioni.
   Verso sera, prima del tramonto, rimanevano a lungo in silenzio e Ignazio spesso dipingeva ad acquarello seduto sotto la finestra, alla luce della candela. Ma non dipingeva dal vero: guardava fuori senza ritrarre il paesaggio, disegnando figure di uomini o animali, di piante e di uccelli, ma senza alcun realismo. Le cose non sapevano che la loro forma era rara e lui voleva trovare le forme delle cose per poterglielo comunicare.
   Poi, dopo cena, quando non continuava a disegnare, accendeva il televisore. Allora si avvicinava con la sedia, quasi con un senso di soggezione, e vedeva le luci, le gambe delle donne e i loro sorrisi, i giochi e i discorsi di persone che si muovevano senza alcun disagio. Spesso non ascoltava nemmeno quello che dicevano, perché era colpito dalla facilità del loro esprimersi e dai loro movimenti incessanti, dal loro rassicurante mostrarsi. Provava la sensazione di poter far correre i pensieri, di poter sovrapporre liberamente a quelle immagini altre immagini ed altri discorsi, in una mancanza di concentrazione che a tratti gli piaceva.

   Ma all'improvviso quella sua stessa attenzione gli pareva pericolosa ed estranea, non ne capiva la ragione, e allora chiedeva ad Emma se volesse continuare a tenerla accesa. Lei rispondeva immancabilmente di no, che non le importava, che tanto aveva da fare e preferiva il silenzio, anche se prima invece guardava, e lui si alzava per spengere il pulsante principale, quello che faceva scomparire anche la piccola luce verde in alto, per disanimarla del tutto. 

   Quindi ritornava sotto la finestra e riprendeva a dipingere sul piccolo tavolino di pioppo che si era costruito apposta: figure d'uomini stilizzati, di lampade ed alberi, oppure di frutta, bottiglie od altri oggetti perfettamente isolati gli uni dagli altri, collegati solo da un esile filo e disposti secondo figure geometriche, perché in questo modo le cose sembravano prendere coscienza, completarsi in un gesto reciproco.
   Quella sera, mentre guardava fuori, fu colpito da una girandola di piccole luci, simili a quelle intermittenti degli alberi di Natale. Disegnavano nel grigio della nebbia dei piccoli pesci che volteggiavano nell'aria. Fu un'impressione che non seppe decifrare e rimase col pennello sollevato a scrutare dietro i vetri opachi; ma quell'immagine scomparve altrettanto rapidamente di com'era apparsa e lui si affrettò a dipingere quello che aveva pensato di vedere: un vortice di piccole luci colorate che sembravano nuotare sopra il manto della neve.
   Poi Emma portò a letto il bambino, che non faceva mai storie qualsiasi cosa gli si facesse fare, e quindi si coricò a sua volta. Ignazio la raggiunse poco dopo e lei attese che spengesse il lume dalla sua parte per addormentarsi. Ignazio non prese subito sonno: l'immagine dei pesci continuava a balenargli davanti agli occhi e si rigirò nel letto più volte.
   Dopo che finalmente si fu addormentato ebbe nel sonno una strana sensazione di freddo che lo risvegliò di soprassalto, e alzatosi a sedere sul letto rimase in ascolto di quel grande silenzio che veniva da fuori. Quindi, senza capire cosa lo spingesse, seguì il suo primo impulso e si recò a vedere cosa stesse facendo il bambino. Socchiuse la porta della sua cameretta e lo vide rannicchiato bocconi, che si dondolava ritmicamente appoggiando la testa contro il cuscino. Ignazio provò ad avvicinarsi e gli sfiorò la testolina con una mano, ma il bambino continuava a dondolarsi piegando le ginocchia e lui provò una sensazione di disagio, gli parve di non doverlo disturbare. Allora richiuse la porta e discese le scale: ma con suo grande stupore notò che i gradini non scricchiolavano come al solito sotto il suo peso.
    Da basso si accorse che la finestra era rimasta aperta. Fuori il bianco della neve sui campi era velato da un alone celeste, simile a quello che era apparso insieme alle piccole luci che danzavano. Queste erano ancora dove lui le aveva dipinte, ma mandavano riflessi più vivi e, cosa ancora più strana, di cui si accorse non appena sollevò lo sguardo, era aperta anche la porta d'ingresso, da dove la stessa luce azzurrina entrava nella stanza senza che potesse più uscirne, quasi girovagando imprigionata lungo le pareti. Ignazio si avvicinò e vide che nemmeno lui poteva più uscire, che una forza misteriosa lo respingeva all'interno facendo solo una lieve pressione sul petto. La porta non era chiusa, ma quella non era un'uscita, e forse si poteva passare solo nel verso della luce. Allora si diresse verso l'altra porta, quella della stalla, e qui notò un fenomeno diverso, forse ancora più sorprendente, perché la porta era chiusa, ma una luce gialla o dorata filtrava da sotto la fessura. Cercò con la mano qualche appiglio, qualche traccia della serratura precedente, ma il legno era perfettamente liscio, come se non ci fosse mai stato niente di simile. Ignazio si volse allora verso il centro della stanza: la televisione spenta aveva un'aria minacciosa, perché sembrava che potesse da un momento all'altro accendersi da sola e si accorse che la brace residua nel caminetto emanava una luce ghiaccia e che l'aria d'intorno era più fredda.

   All'improvviso vide qualcosa volare fuori dalla finestra e quando si avvicinò per controllare da vicino un barbagianni si posò sul davanzale, girando il collo piumato e scrutando con gli occhi all'interno, fissandolo con un'espressione curiosa, e lui poteva udirne distintamente il soffio ritmato del respiro.

   Ritornò di sopra affrettando il passo perché voleva risvegliare Emma e parlarle. Dormiva ancora con la solita espressione serena sul viso e Ignazio si avvicinò alla sua fronte parlandole piano: nemmeno lei emanava più alcun calore e non rispondeva, ma ad un certo punto aprì per un attimo gli occhi, domandandogli dell'acqua con un po' di vino.
   Ignazio scese ancora di sotto, riempì il bicchiere e risalì, sempre più in fretta, notando di nuovo che gli scalini non facevano alcun rumore. Prima di rientrare in camera volle però di nuovo vedere il bambino e socchiuse la porta: questa volta lo trovò seduto sul letto, con le gambe incrociate, che lo fissava muto, con un'espressione seria ed attonita. I suoi occhi gli parvero più grandi del solito e gli fecero paura. Rimase sull'uscio solo per qualche istante: quindi si avvicinò e lo prese in collo. Il bambino appoggiò il mento sulla sua spalla e lo abbracciò: ma anche le sue mani erano fredde ed Ignazio avvertì una sorta di fastidio, come se non fosse suo figlio, ma un essere assolutamente indifferente e sconosciuto. Lo ripose sul letto come un oggetto e lo rincalzò nella coperta: quindi richiuse la porta spaventato per quella sensazione e ripreso in mano il bicchiere raggiunse Emma facendo attenzione a non versarne il contenuto.

  Quando le si accostò lei gli chiese con un filo di voce di bagnarle appena le labbra. - Vieni a dormire anche tu - gli disse poi senza muoversi, tenendo ancora gli occhi chiusi, e aggiunse che avevano sete anche la cavalla e l'asino, che doveva portare da bere anche a loro.
   Ignazio discese di nuovo. Perché il bambino non aveva mai ancora parlato? e perché lo aveva guardato in quel modo?

   Dalla fessura sotto la porta della stalla veniva la solita luce e il barbagianni sul davanzale sembrava sonnecchiare, perché apriva e richiudeva gli occhi lanciandogli occhiate sempre più pigre.
   Il bambino non pareva mai pensare a qualcosa di particolare, e tuttavia doveva pensare certamente, ma senza alcuna intenzione, senza riferirsi a qualcosa. Ignazio passò ancora la mano sul legno della porta rimasta chiusa, ma nemmeno questa volta trovò alcuna traccia di una qualsiasi sporgenza: la porta era liscia ed il legno non aveva nemmeno le solite irregolarità, le sue scaglie erano state piallate via da una mano esperta e sembrava come nuovo. Nel centro del tavolo le mele mandavano un profumo pungente, che si univa a quello di sterco che veniva dalla stalla, e Ignazio realizzò che non c'erano vie di fuga, accettò in un certo senso la situazione, che stranamente ora non gli procurava alcuna ansia, perché non provava nessun desiderio di cercare un'uscita e quanto stava accadendo gli pareva una cosa naturale e prevista.

   Si sedette al tavolo dove disegnava e si mise ad osservare le figure che aveva dipinto, da dove i punti luminosi dei pesci erano scomparsi e rimanevano soltanto la bottiglia e la tazza che aveva fatto prima della loro apparizione.

   Era prigioniero di cosa? Perché la sua casa era aperta eppure chiusa? E quella luce sotto la porta... e l'altra della brace che non scaldava?
   Non appena si fece quelle domande Ignazio capì subito di essere assolutamente insensibile alle risposte: gli sembrava che quella fosse la forma della realtà e che non dovesse uscire da alcun luogo.
   Accese la televisione svogliatamente, e tuttavia per un impulso preciso. Si sedette sulla poltrona e vide una strada compressa tra altissimi grattacieli. Poi, senza stupirsi più di nulla, riconobbe i due pesci che nuotavano tra le vette dei palazzi come nella scena di un acquario.
   Ben presto le immagini di altri programmi incominciarono ad affastellarsi nella sua mente senza fatica. Un oratore persuadeva il pubblico della necessità di deviare una cascata, indirizzarla in una valle diversa, raccoglierne la preziosa energia e l'additò mentre svaniva, imboccando quieta un piccolo rigagnolo nel verde. Più a valle un vecchio cervo barriva, e un altro più giovane scappava saltando tra sassi e cespugli, inseguito dall'acqua. Una vecchia donna che assomigliava a sua madre raccoglieva radici ed il vento che si era levato spostava la nebbia a grandi folate.

   Un imbonitore spiegava il funzionamento di una macchinetta per tritare le verdure e subito un'altra donna diceva che era meglio spalmarsi con quella crema e mostrando le gambe lisce accarezzava il suo corpo nudo per spiegare l'efficacia di quel prodotto speciale sulla pelle di seta. Sorridendo s'inclinava s'un fianco e percorreva con le dita i contorni delle natiche esibendone la solidità, quando sopra la sua testa apparvero minuscole stelle e lei disse che con quella crema si potevano anche captare le radiazioni degli astri, che nessun loro influsso poteva sfuggire più al corpo. Poi accarezzandosi il seno lo sostenne in direzione del cielo, lasciando che si gonfiasse in maniera visibile, ma l'uomo che prima consigliava l'acquisto della macchinetta ricomparve davanti al tavolo colmo di foglie e parlò di giustizia, che non si doveva offendere il popolo, ma sostenerlo nelle difficoltà, e che per far questo bisognava ridurre il tasso di sconto e promuovere nuove iniziative culturali.

   In quel momento riapparvero i pesci nel cielo stellato di prima e scivolarono fuori dal video verso la finestra. Quando Ignazio si volse li vide girare ancora intorno alla stanza prima di uscire. Si avvicinò e vide che il barbagianni volava via con loro, un'ombra bianca sopra i campi con due sagome di puntiformi luci colorate, e subito dopo si accorse che iniziava ad albeggiare rapidamente, la neve a sciogliersi, i meli sul prato a fiorire. Si volse verso il televisore e vide una signora elegante che ingoiava un cioccolatino con la stagnola e poi mostrava la chiostra dorata dei denti. Quindi una ragazza più giovane apparve seduta, con una gamba accavallata che dondolava in una calza chiara, e questa ragazza aveva un'espressione compita e graziosa. Muoveva la bocca come per rispondere a delle domande, ma in realtà non emetteva alcun suono, pur capendosi quando terminava una frase. Continuava a dondolare la sua gamba con un movimento lievemente nervoso, quasi imbarazzato, seppure con una certa ironia nel sorriso, e Ignazio fu convinto di conoscerla, di averla già vista e forse di averle parlato. Gli parve anche di averla amata, almeno una volta nella vita, e stava proprio per ricordarsi chi era quando la sua immagine venne cancellata dall'arrivo di un grasso intervistatore che le si collocò davanti con un grande pacco sotto il braccio, avvolto in una carta rilucente di rosso e con un lungo fiocco d'oro arricciato intorno. L'uomo, che teneva un microfono nell'altra mano, voleva venderle il pacco a qualunque prezzo, e nell'insistere copriva quasi per intero la figura della ragazza che rimaneva seduta, nascondendole il viso. Anche il pacco rosso ingombrava la scena, e ormai si poteva scorgere soltanto la punta del piede che proseguiva a oscillare sospesa.  
   Allora Ignazio si volse di nuovo verso la finestra e si accorse che fuori la primavera avanzava: dalla grondaia rotta cadevano grosse gocce di neve disciolta mentre il sole saliva nel cielo e l'erba cresceva più verde. In un campo più in basso il manto delle spighe si gonfiava sotto il suo sguardo e frutti di vari colori maturavano sugli alberi. Ma ad un tratto sentì un urlo alle sue spalle e scorse nel televisore un uomo a torso nudo che imprecando prendeva a pugni un fantoccio umano lanciandolo contro uno specchio, e quando lo specchiò si ruppe il fantoccio ferito sanguinò dalla gola, un rivolo di sangue percorse la stanza fino ai piedi dell'uomo, che piegatosi sulle ginocchia ne raccolse un po' con un dito per assaggiarne il sapore.

   Fuori si era levato il vento e scuoteva i rami degli alberi. Seccavano i frutti, alcuni cadendo per terra, e le foglie si tingevano di giallo e di rosa, qualcuna d'un rossore febbrile, mentre il sole era di nuovo più basso sull'orizzonte e l'aria imbruniva. Sul video due volti mascherati cercavano di baciarsi accarezzandosi con mani di legno in un prato, dove accanto a loro gli steli di alti fiori bianchi s'intrecciavano in una specie d'abbraccio.

   Una folata dell'odore di sterco sopraggiunse improvvisa e Ignazio percepì il peso del suo corpo, avrebbe potuto calcolarlo con esattezza, come una bilancia quello di una manciata di patate.

- Tutto quello che accade è per sempre, perché nulla appartiene a nulla.
   Sentì pronunciare questa frase da un uomo che prendeva il sole vestito con un elegante abito da sera, seduto su una sedia troppo piccola, vicino ad un albero dal quale pendevano cappelli di varia foggia. Si accorse che quell'uomo gli assomigliava e immaginò che avesse i suoi stessi pensieri. Poi vide la stessa ragazza di prima che camminava carponi brucando l'erba: aveva i piedi scalzi e le labbra rosse, i capelli le andavano sul viso, e allora gli parve che nel tempo accadessero mille cose invisibili che potevano disperderlo in mille frammenti e che ognuna potesse prendere il posto di qualsiasi altra. Anche gli odori erano cose, avvenimenti, e persino la luce che ritornava sempre uguale ad ogni stagione.

  Fuori adesso era buio: la neve aveva ricominciato a cadere e lui poteva quasi sentirne il rumore. La nebbia copriva di nuovo ogni cosa ed il barbagianni attraversò il prato volando da un ramo fino alla sagoma più lontana di un altro, quando una luce alle sue spalle lo indusse a voltarsi di nuovo, e vide i due pesci nuotare intorno al bambino. Stava in piedi in cima alla scala, con le mani appoggiate sopra la ringhiera di legno e lo fissava serio, con uno sguardo interrogativo, ma vuoto di qualsiasi altra espressione. Alla luce di quello sguardo ogni cosa parve ad Ignazio assumere il suo contorno irreversibile e remoto. Nulla esisteva più nella casa, soltanto il volto del bambino e i pesci che gli volteggiavano intorno. Lo chiamò a sé aprendo le braccia e lui scese lentamente le scale. Si sedettero entrambi sulla poltrona davanti alla televisione, da dove continuavano a venire immagini nuove di persone in affanno che correvano nei boschi tenendo la bocca spalancata. Tra le sue braccia, ripiegando a poco a poco il corpo sul ventre, il bambino prese sonno, e i pesci divennero due piccoli tatuaggi luminosi ricamati sopra una guancia. Ignazio provò allora una sensazione di grande pace e di perfetto abbandono, tanto che poco dopo cadde anche lui in un sonno profondo e infantile.

   All'alba, quando Emma li trovò addormentati, l'odore di sterco riempiva ancora la stanza. Spense la televisione e si diresse verso la stalla, da dove però non veniva alcun rumore, come invece capitava nelle altre mattine, nessun accenno d'inquietudine. Aprì la porta e trovò le bestie nella solita posizione, in piedi tranquille, e riempì il secchio per dar loro da bere. Poi tornò di là per riaccendere il fuoco con delle pigne secche; preparò il caffè e aprì la finestra per fare entrare l'aria fresca. Nello scostarsi si soffermò a guardare il quadro d'Ignazio e vide che accanto ad una bottiglia, ad una tazza e a delle mele mature sopra un tavolino, c'erano anche due pesci, che avevano colori diversi e la fissavano attenti, come se avesse potuto afferrarli, pronti a scappare.
   Fuori la nebbia copriva la neve sui campi e tutto era immobile. Non c'era nemmeno un filo di vento. Nuovi odori si univano al freddo ch'entrava e lei andò a prendere una coperta che poi distese sopra di loro. Il bambino ebbe un tremito e si aggiustò meglio sulla pancia del padre, che lo proteggeva sotto il suo braccio. Non accennava a svegliarsi ed Emma rincalzò la coperta sui lati, nell'incavo del cuscino: quindi spense il fornello sotto il caffè e apparecchiò la tavola. Ignazio sentì nel sonno un tintinnio di stoviglie, come un suono di campanelle, e nel dormiveglia il suo respiro gli parve limpido e fresco come l'aria ch'entrava da fuori, quasi che i suoi polmoni non opponessero resistenza e potessero dilatarsi all'infinito senza aver bisogno d'espirare. Si piegò leggermente su un fianco e strinse a sé il corpo del bambino, socchiudendo per un attimo gli occhi: sulla sua guancia i piccoli pesci erano scomparsi e lui pensò che fossero ritornati al mare, da dov'erano giunti a visitarli in sogno durante la notte per annunciare la lieta novella del loro risveglio.