Hippolyte Taine definì l’opera di Hegel come “un grande modello ligneo di una cattedrale che più tardi ci si sarebbe sforzati di costruire in pietra”. Nonostante i tentativi abbozzati per realizzare un simile progetto, la maggior parte degli epigoni di Hegel non lo ha però mai intrapreso con sufficiente decisione. Inoltre, nel corso degli anni la schiera dei detrattori del filosofo di Jena non si è affatto assottigliata. Anche se dalla riflessione hegeliana hanno tratto spunto - quando non il principale nutrimento - scuole filosofiche e discipline teoriche eterogenee e spesso discordanti, si ha l’impressione che ormai siano molti coloro che condividono l’opinione di Karl Popper secondo cui Hegel, seguendo una logica arcaica e prescientifica , “ estrae conigli fisici da cilindri metafisici”.
Hippolyte Taine definì l’opera di Hegel come “un grande modello ligneo di una cattedrale che più tardi ci si sarebbe sforzati di costruire in pietra”. Nonostante i tentativi abbozzati per realizzare un simile progetto, la maggior parte degli epigoni di Hegel non lo ha però mai intrapreso con sufficiente decisione. Inoltre, nel corso degli anni la schiera dei detrattori del filosofo di Jena non si è affatto assottigliata. Anche se dalla riflessione hegeliana hanno tratto spunto – quando non il principale nutrimento – scuole filosofiche e discipline teoriche eterogenee e spesso discordanti, si ha l’impressione che ormai siano molti coloro che condividono l’opinione di Karl Popper secondo cui Hegel, seguendo una logica arcaica e prescientifica , “ estrae conigli fisici da cilindri metafisici”.
In effetti, l’opera hegeliana ha permeato il pensiero otto-novecentesco in un modo diverso da come hanno potuto influenzarlo altri “classici” della filosofia: non ha dato vita a correnti di pensiero tra loro parallele o congruenti, come è avvenuto per Descartes, Kant o Marx, ma ha invece costituito un importante punto di riferimento per prospettive speculative tra loro anche molto diverse. Ciò è abbastanza evidente, in particolare, per il secolo che si è da poco concluso. Basti pensare per esempio all’influenza avuta dal pensiero hegeliano sulla storia del marxismo e sulla psicoanalisi, sull’esistenzialismo sartriano e jaspersiano, sulla teologia protestante e, in genere, sulle varie forme di “storicismo”.
Un'efficacia tanto polivalente potrebbe essere interpretata come una prova del successo del suo progetto filosofico, che s‘imperniava sulla convinzione di poter legittimare scientificamente la funzione conoscitiva di una nuova metafisica razionale.
Infatti, se le categorie ontologiche e spirituali individuate da Hegel hanno potuto condizionare tanta parte del pensiero successivo e ispirare teorie tanto diverse, ciò significa probabilmente che esse sono riuscite ad andare oltre i presupposti filosofici propri dei singoli ambiti scientifici ed a cogliere regressivamente – com’era nelle intenzioni di Hegel fin dai tempi della Fenomenologia dello spirito – le dinamiche conoscitive più profonde nei loro lineamenti più evidenti e, proprio per questo, meno facilmente riconoscibili.
D’altra parte, la lista dei suoi confutatori durante gli ultimi due secoli non è meno eterogenea di quella dei suoi estimatori, e ciò potrebbe invalidare la precedente conclusione circa il successo della sua rifondazione della metafisica. Dopo Schopenhauer – che considerava Hegel “un maestro di ciarlataneria” – e Nietzsche – che parlava dell’hegelismo come di una “malattia intellettuale” – nel nostro secolo si è assistito ad una serie di prese di posizioni riconducibili in prevalenza a prospettive neoempiriste o neokantiane. Nelle aspre valutazioni critiche di Russell, dei neopositivisti o di Popper, si evidenzia infatti una idiosincrasia per la filosofia di Hegel che lascia intravedere dei fraintendimenti tanto puntigliosi quanto virtualmente chiarificatori. Tali fraintendimenti, tuttavia, hanno la loro origine in concezioni che, proprio in quanto neoempiriste o neokantiane, risalgono a quelle stesse dicotomizzazioni metafisiche che Hegel aveva inteso superare e, pertanto, essi testimoniano che un simile preteso superamento è ancor oggi perlomeno problematico.
Con lo scopo di riesaminare la storia dell’efficacia novecentesca della filosofia hegeliana e di vagliare le principali obiezioni che ad essa sono state mosse nel corso del secolo, Antimo Negri passa in rassegna, nel suo Hegel nel Novecento, una vasta gamma di commenti e di reazioni all’opera hegeliana dei più eminenti pensatori contemporanei. L’unico rammarico che può suscitare la lettura del libro di Negri – rammarico peraltro riconducibile alle stesse finalità “panoramiche” del testo – deriva dallo scarso approfondimento teorico cui è stato sottoposto il fattore che, più di ogni altro, ha contribuito a rendere fino ad oggi reciprocamente sorde le opposte fazioni dei neo e degli anti-hegeliani; vale a dire ciò che viene comunemente designato con il nome di “dialettica”. Purtroppo per i seguaci di Hegel, specie quelli d’indole più anti-illuminista, i denigratori del loro maestro non sono soliti sorvolare sulle ambiguità non risolte del suo pensiero e non tendono a considerarle inevitabili conseguenze della sua ricchezza. Replicando alle loro obiezioni con argomentazioni evasive, frettolose o liquidatorie, i seguaci di Hegel continuano spesso a produrre controasserzioni vanamente hegelo-mimetiche e dialetticamente poco efficaci, che non contribuiscono certo ad arricchire l’hegelismo di nuovi sviluppi chiarificatori.
Antimo Negri: Hegel nel novecento; edizioni Laterza; pp. 244.