Lord Byron, un antiromantico travolto dal romanticismo (parte II)

di Claudia Cardella (continua)

 

Un altro elemento che senza dubbio fa di Byron un romantico un po’ insolito, dopo l’ammirazione per Pope e la sua parzialità per il genere satirico, è la particolare importanza che egli dà al realismo, inteso sia come verosimiglianza delle descrizioni di luoghi e di aspetti di un determinato ambiente, sia come aderenza alla realtà, ai fatti e alle esperienze vissute. È stato fatto notare da Diego Saglia che, nell’introduzione che Byron fa della “oriental taleThe Bride of Abydos, con tutte quelle “immagini ricche di colori, suoni e profumi”, il poeta esibisce con noncuranza alcuni aspetti di un oriente già noto ai lettori inglesi.1 Byron effettivamente sfruttava immagini ed elementi che facevano parte di un immaginario comune, o quantomeno che erano noti, come nel caso dei racconti orientali, dove si ritrovano, per l’appunto, elementi che già venivano associati all’immagine idealizzata dell’Oriente. Tuttavia, non bisogna dimenticare che lo stesso, attraverso, ad esempio, questo elenco che troviamo nei primi versi di The Bride of Abydos, i cui elementi non s’immaginano in un paesaggio concreto, ma creano piuttosto un’atmosfera, sta richiamando fantasmi di luoghi e di cose che egli aveva visto personalmente. Dopotutto, la sua conoscenza diretta dei luoghi e delle cose di cui parlava era ciò che lo distingueva da altri autori che descrivevano l’oriente, ed era anche ciò che lo rendeva particolarmente orgoglioso, se non presuntuoso, dal momento che egli dava una certa importanza a questo fatto.

 

Byron, infatti, non solo considerava importante una certa aderenza alla verosimiglianza, la menzione della quale, a chi ha familiarità con l’aneddotica byroniana, non può non ricordare la sprezzante osservazione sul “western sky” con la sua peculiare “tint of yellow green” di Coleridge.2 Nella prefazione ai primi due canti di Childe Harold, egli introduce il discorso dicendo che il poema è stato composto mentre l’autore si trovava in buona parte dei luoghi che vi vengono descritti, e che le parti relative alla Spagna e al Portogallo sono basate su delle osservazioni fatte personalmente da lui stesso. Dopodiché spiega: “Thus much it may be necessary to state for the correctness of the descriptions”.3 Una tale attenzione al realismo, nonché una prefazione in cui si intende sottolineare come l’elemento più importante del poema sia non la storia, bensì i luoghi in cui il pellegrino fittizio si sofferma, difficilmente si possono ricondurre all’orrore di Byron per le critiche, che pure dà quel tono particolare, tra l’arrogante e il seccato, a molti suoi scritti introduttivi. Ad aumentare l’impressione che si tratti di una reale puntigliosità di Byron vengono anche le note e le parti in prosa relative ai due canti del poema, le quali sono copiose e riportano diverse osservazioni di carattere descrittivo, folkloristico, storico, cronachistico e di altro genere.

 

 

Quest’attenzione per l’esattezza di descrizioni e di fatti reali, nonché questa sorta di puntiglio, il quale lo porta a dimostrare in tutti i modi che ciò di cui scrive non è mera invenzione, sono pressoché i medesimi che lo spingono ad usare dei fatti realmente accaduti e documentati come base per i propri edifici immaginari, nonché ad una certa incapacità di fare a meno di sviluppare gli stessi attorno alla propria esperienza autobiografica. Leslie Alexis Marchand dice in proposito: “[…] no ever writer was ever more patently autobiographical in the creations of his imaginations. In fact, this became so much a habit of his mind and of his composition that even when he deliberately set out to write objectively, as in his historical dramas, in which he prided himself on fidelity to the written records of characters and events, he could not but make the major figures over into personalities like himself with problems that were his own”.4

 

Per quanto riguarda l’attenzione per l’esattezza storica menzionata da Marchand, poi, ci dice qualcosa la passione che Byron aveva per i romanzi di Walter Scott.

 

Byron verosimilmente non lesse Ivanhoe, che viene menzionato in una lettera a John Murray ma solo per sapere di cosa si tratta. Tuttavia, sono documentate le sue richieste di romanzi di Scott, e, già nel 1814, scrive di Waverly: “the best & most interesting novel I have redde since – I don’t know when”. Interessante è anche la pagina del diario ravennate del 5 gennaio del 1820, sebbene le esagerazioni squisitamente byroniane non sempre sono da prendere alla lettera: “Read the conclusion, for the fiftieth time (I have read all W. Scott’s novels at least fifty times) of the third series of “Tales of my Landlord”, – grand work – Scotch Fielding, as well as great English poet – wonderful man!”.5

 

Proprio questa stessa citazione ci fornisce l’occasione per passare al rapporto di Byron con l’altra produzione del baronetto scozzese, cioè quella in versi, nonché al punto di giuntura tra l’attenzione al realismo che abbiamo visto e la caratteristica che fa di Byron un romantico decisamente anomalo. Non si può dire che Byron non fosse sincero mentre riportava i pensieri sopracitati sul suo diario. Tuttavia, un’improvvisa e dubitabile ammirazione per Walter Scott come poeta la si registra solo in seguito al consolidarsi dell’ammirazione per Walter Scott come uomo, cosa che avvenne solamente dopo il 1815. E il diario è del 1820.

 

Prima che Byron facesse la personale conoscenza di Scott, in occasione dei “morning gatherings” di John Murray durante la primavera e l’estate del 1815, la più nota menzione del poeta scozzese tra le sue carte è quella che compare nella famigerata English Bards & Scotch Reviewers, in termini che dovettero fare assai poco piacere al bardo. È bene precisare che i personaggi letterari che vengono attaccati in English Bards & Scotch Reviewers sono quasi tutte figure verso le quali Byron non sentiva di dover provare ammirazione, o almeno, non all’altezza della stesura. Alcune di queste, specialmente dopo che Byron ebbe fatto la loro personale conoscenza, assunsero un aspetto molto diverso ai suoi occhi. Tra queste, vi è proprio Walter Scott.

 

Ciononostante, e sebbene English Bards & Scotch Reviewers sia più il frutto di una certa malizia lasciata galoppare che non di pensieri espressi lucidamente, i difetti che Byron attribuisce a Scott coincidono con le effettive ragioni per cui non apprezzava la sua poesia. A tal proposito, cito nuovamente Marchand: “His satiric summaries of The Lay of the Last Minstrel and Marmion give an inkling of the reasons for his dislike of this kind of “stale romance”. Lovers of Scott in Byron’s day as well as later must have felt that he was needlessly and cruelly breaking the fine border tales on the wheel of his own caprice. But Byron had already developed a native distaste for fanciful tales divorced from life. He could as truthfully have said what he later wrote to John Murray: “But I hate things all fiction… There should always be some foundation of fact for the most airy fabric, and pure invention is but the talent of a liar” ”.6

 

La distanza dei gusti di Byron dalle “things all fiction”, la quale, come si è visto, viene opportunamente definita “native” da Marchand, è una caratteristica che si può rintracciare già nelle poesie giovanili. Sebbene la maggior parte dei componimenti contenuti in Fugitive Pieces, e quindi in Hours of Idleness, siano per lo più impersonali imitazioni dei versi contenuti in The Poetical Works of the Late Thomas Little di Thomas Moore, del quale non solo imita lo stile ma riprende anche i temi, si percepisce già un certo tono realistico, nonché la tendenza a sviluppare il componimento intorno ad un elemento autobiografico. Significativo è poi un componimento che compare in Hours of Idleness, la raccolta che Byron pubblicò nel 1807, quando ormai incominciava a sviluppare una certa indipendenza rispetto ai suoi modelli.

 

Si tratta di To Romance, una sorta di addio alle fantasie poetiche giovanili:

 

 

 

Parent of golden dreams, Romance!

 

Auspicious Queen of childish joys…

 

No more I tread thy mystic round,

 

But leave thy realms for those of Truth…

 

 

 

Romance! disgusted with deceit,

 

Far from thy motley court I fly,

 

Where Affectation holds her seat,

 

And sickly Sensibility…7

 

 

 

A questa poesia possiamo accostare anche The first kiss of Love, sempre da Hours of Idleness:

 

 

 

Away with your fictions of flimsy romance;

 

Those tissues of falsehood which folly has wove!

 

Give me the mild beam of the soul-breathing glance,

 

Or the rapture which dwells on the first kiss of love.

 

 

 

Ye rhymers, whose bosoms with phantasy glow,

 

Whose pastoral passions are made for the grove;

 

From what blest inspiration your sonnets would flow,

 

Could you ever have tasted the first kiss of love!

 

 

 

If Apollo should e’er his assistance refuse,

 

Or the Nine be disposed from your service to rove,

 

Invoke them no more, bid adieu to the muse,

 

And try the effect of the first kiss of love.

 

 

 

I hate you, ye cold compositions of art!

 

Though prudes may condemn me, and bigots reprove,

 

I court the effusions that spring from the heart,

 

Which throes with delight to the first kiss of love.

 

 

 

Your shepherds, your flocks, those fantastical themes,

 

Perhaps may amuse, yet they never can move:

 

Arcadia displays but a region of dreams:

 

What are visions like these to the first kiss of love?

 

 

 

Oh! cease to affirm that man, since his birth,

 

From Adam till now, has with wretchedness strove,

 

Some portion of paradise still is on earth,

 

And Eden revives in the first kiss of love.

 

 

 

When age chills the blood, when our pleasures are past-

 

For years fleet away with the wings of the dove-

 

The dearest remembrance will still be the last,

 

Our sweetest memorial the first kiss of love.

 

 

 

Questa dottrina poetica espressa qui in queste due poesie richiama effettivamente la dottrina della poesia byroniana più matura, la quale vede l’aderenza alla realtà e alle esperienze realmente vissute come l’elemento fondamentale dell’opera poetica. Tale dottrina Byron la abbracciò definitivamente incominciando a costruire Childe Harold a partire dalla propria esperienza autobiografica. Dopodiché la mantenne nel tempo, intatta nonostante lo sviluppo di due stili pressoché indipendenti e profondamente diversi tra loro. Marchand scrive che “in fact, he could write effectively no other way”.8 Fanno eccezione alcune opere, tra cui quelle che hanno risentito della prossimità di Shelley: in modo particolare Manfred, chepresenta un immaginario fantastico che è estraneo a Byron. Ma, per il resto, essa proseguì fino a Don Juan, il quale, sebbene Byron non avesse un piano - “I have no plan – I had no plan”9- finì per ritrarre non solo la verità ma, attraverso un realismo comico, la vita, la sua vita. “Almost all Don Juan is real life, either my own, or from people I knew”.10

 

Quando ci si appressa a Don Juan, non si può fare a meno di ricordare le parole del suo autore, il quale definì il poema “a versified Aurora Borealis”. Byron, nel gettarsi in questa impresa, seguì il modello dei poemi eroicomici italiani a lui cari, il Furioso dell’Ariosto, il Morgante di Pulci; ma anche l’esempio di Pope, di Swift, e di altri che abbiamo già nominato. La conseguenza, perché davvero si può parlare di un poema che si è costruito pressoché da solo, fu una sorta di Tristram Shandy in ottava rima, la quale mai era stata usata prima d’allora nella poesia inglese.

 

In un’opera che non ha un vero e proprio filo narrativo, l’autore, che è anche narratore, dà voce ai pensieri del momento. Come uno Sterne, si perde in digressioni, si permette voli pindarici. Utilizzando il suo insolito Don Giovanni come pretesto, Byron scrive tutto ciò che gli passa per la mente: descrive sì scene esotiche, racconta di fatti avventurosi che, sebbene realistici, sfiorano l’inverosimile; ma, nel frattempo, ed è questo uno dei suoi scopi principali, punzecchia e scandalizza il lettore inglese, nonché le persone che si ritrovano ritratte nel poema, prima tra tutte sua moglie. Nel complesso, in Don Juan,Byron mescola esotismo, malizia, erotismo, orientalismo, realismo; e lo fa raccontando le situazioni più disparate, vissute da lui in prima persona o raccontategli da altri. Inoltre, ci sono le opinioni personali dell’autore-narratore: questo, in un modo che per certi aspetti ricorda Fielding, interrompe per lunghi periodi la narrazione, e ciò al semplice scopo di uscire dalla finzione per esprimersi, spesso in modo sardonico, su qualunque soggetto reale e contemporaneo gli capiti.

 

Si può dire, per sintetizzare, che Byron, mentre componeva Don Juan, non aveva nessuno scopo in particolare, né aveva in mente un vero e proprio soggetto: piuttosto, era come se stesse conversando. Tale libertà di narrare e di esprimersi era, in fin dei conti, la musa che gli era più congeniale. Byron, al di là delle varie ambiguità che abbiamo visto, reputava che fosse Childe Harold la sua opera migliore: questa convinzione vacillò con la riscoperta di Pope, la quale giunse quando ormai stava per concludere il IV canto dello stesso poema. A partire da Beppo, il quale fu il prodotto di questa riscoperta, egli trovò uno stile che decisamente si confaceva di più ai suoi gusti e alla sua indole. Cito a tal proposito di nuovo Leslie Alexis Marchand, il quale si espresse così: “In Don Juan he found his unique vehicle for the expression of every facet of the Romantic ego in a poetic novel-satire, ‘a versified Aurora Borealis’, that create its own rules and its own artistic unities”.11

 

Ed eccoci dunque al sovrapporsi di romantico e di opposto a romantico, conseguenza che è inevitabile quando si mescolano l’orientalismo, l’ideale e il soggettivo con l’oggettività e il realismo comico della satira. Una sovrapposizione i cui germi sono giànella stessa idea di poesia di Byron, la quale, come scrive Fiona MacCarthy, “was that it was necessary to have known strong passions in order to depict them”.12 Forti passioni che non sono altro che forti emozioni e forti sensazioni; forti emozioni e forti sensazioni che non sono altro che quelle esperite in situazioni di ogni sorta, meglio se estreme: cioè sensazioni che, per citare Byron stesso, sono “the great object of Life”, “to feel that we exist”.13 L’idea di fondo di questa particolare dottrina, la quale mescola insieme romanticismo e realismo, cioè soggettività e concretezza antiromantica, è che il soggetto poetico dev’essere la vita, ma anche la realtà: ed essa trova la sua più perfetta espressione in Don Juan, che si presenta come l’opera meno romantica di Byron, eppure, al tempo stesso, la più soggettiva.

 

 

 

Quanto abbiamo detto finora ci porta adesso come obbligatoriamente a considerare un’ultima cosa che pone Byron in una posizione singolare, talmente singolare che è antitetica non solo rispetto a Coleridge, inteso come rappresentante delle dottrine poetiche fondamentali del Romanticismo inglese, ma pressoché ai romantici in generale. Si tratta di un fatto che ancora oggi suscita simpatie o antipatie a seconda delle parti. La ragione della stroncatura della poesia di Keats da parte di Byron non è subito palese, e se fosse quella che sembra, vale a dire le opinioni di Keats sulla poesia in generale, ma più in particolare la sua visione della poesia di Pope come un modello negativo, allora si potrebbe pensare che Byron si fosse abbandonato anche in questo caso a quella boriosa e irrazionale antipatia istintiva, la quale gli era tutt’altro che estranea. Ciò che colpisce di più, soprattutto alla luce del fatto che Byron aveva notato il talento di Keats, come lascia intendere la lettera a Murray del 26 aprile 1821, è che, mentre Leigh Hunt e Shelley credevano sinceramente nel talento del giovane, tantoché ognuno lo aiutava a modo suo, il primo gli permettendogli di farsi conoscere tramite il suo The Examiner, il secondo, con il suo consueto, particolare entusiasmo, incitandolo a coltivare il suo talento, Byron si riduceva a costellare le sue lettere di espressioni di astio e disprezzo nei confronti dello stesso. Proprio queste stesse lettere, però, si rivelano essere una testimonianza importante: da esse, infatti, si ricava che la ragione di tanta aggressività era meramente letteraria. Byron non accusava Keats di altro che di scrivere cose troppo immaginose. Il che è come dire che reputava inconcepibile la sua dottrina poetica, la quale, fondamentalmente, si basava su una concezione estetica della poesia.

 

Una conferma di ciò ci viene da quello che avvenne dopo la morte di Keats. Una volta che Shelley ebbe comunicato a Byron (tra l’altro fornendogli un’informazione sbagliata, dal momento che Keats non morì affatto a causa di un’ennesima stroncatura ricevuta dal Quarterly Review)che il giovane era morto per l’asprezza della critica nei confronti della sua poesia, l’implacabile lord cambiò radicalmente atteggiamento. Non è inverosimile che ciò fosse dipeso dal fatto che egli stesso aveva vissuto in modo traumatico la stroncatura dell’Edimburg Review. La memoria di quella recensione crudele, nonché di tutte le recensioni aspre ricevute in tutto l’arco della sua carriera, forse premette sulla sua compassione e sulla sua empatia. Quel che è certo, è che l’ormai defunto Keats divenne materia per alcuni versi di Don Juan, sebbene non senza l’immancabile, purtroppo impietosa “honesty”:

 

 

 

John Keats, who was killed off by one critique,

 

Just as he really promised something great,

 

If not intelligible, – without Greek

 

Contrived to talk about the Gods of late,

 

Much as they might have been supposed to speak.

 

Poor fellow! His was an untoward fate: –

 

Tis strange the mind, that very fiery particle,

 

Should let itself be snuffed out by an Article. 14

 

 

 

Come si può vedere da questi stessi versi, l’ostilità di Byron nei confronti del giovane sembra non fosse dovuta ad altro che ad un’incompatibilità di dottrine. Byron non potevaapprezzare una poesia fondamentalmente estetica, né, verosimilmente, sarebbe mai giunto a comprenderne il senso. Come aveva ben capito lo stesso Keats, sul piano poetico si ponevano pressoché l’uno agli antipodi rispetto all’altro. “He describes what he sees – I describe what I imagine – Mine is the hardest task”, scrisse egli in una lettera del settembre 1819 al fratello George. Dall’altro lato, Byron detestava le “things all fiction”, il che poneva i due in una condizione di incomunicabilità prima ancora che di incompatibilità.

 

Come si è visto, dunque, vi sono diversi aspetti che fanno di Byron un caso particolare all’interno del panorama romantico. Essi si rintracciano su più piani; e talvolta è difficile conciliarli con gli aspetti indubbiamente romantici. Tuttavia, più che come delle contraddizioni, essi vanno visti come un’altra faccia della stessa medaglia. Byron, infatti, era senz’ombra di dubbio un romantico: per sua natura più che per scelta, era incurabilmente un idealista. Ciò gli precludeva la possibilità di assumere l’atteggiamento di chi non vede alcuna distanza tra il reale e l’ideale, cioè la “common sense view” di Pope.15 E però, allo stesso tempo, era dotato altrettanto naturalmente proprio di questo “common sense”, il quale gli donava quella concretezza e quella capacità di trovare il lato ridicolo che sono estranee ad altri romantici. Per dirla in breve, parafrasando Marchand: Byron, per indole, per modo di pensare, tendeva all’ideale senza ammettere compromessi. E però, proprio per questa stessa ragione, oscillava continuamente tra la malinconia di Childe Harold e l’atteggiamento sardonico nei confronti della realtà, la quale è e sempre sarà infinitamente più rivoltante dell’ideale, che si ritrova in Don Juan. “Of course, Byron seemed at times to be admiring the classical (or neo-classical) acceptance of the world as it is. But because he was a child of his age, and could not detach himself sufficiently from the romantic longing for what the world does not give, he could seldom achieve the Augustan calm he admired in his idol Pope”.16 Byron, infatti, si presenta, sia in poesia che su altri piani, come continuamente diviso tra una tensione verso l’ideale e un’amara constatazione del reale, la quale si traduce ora in pensieri malinconici e in atteggiamenti romantici, ora nella rappresentazione cinica e comico-realistica della vita. A questo proposito, risultano illuminanti le parole di Hoxie Neale Fairchild, il quale, in The Romantic Quest, si espresse come segue: “Aspiration, melancholy, mockery – the history of a mind too idealistic to refrain from blowing bubbles, and too realistic to refrain from picking them”.17

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

1I discorsi dell’esotico: l’oriente nel romanticismo britannico 1780 – 1830, Diego Saglia, 2002. Si tratta dell’incipit dell’Introduzione. I versi cui si fa riferimento sono:

 

Know ye the land where the cypress and myrtle

Are emblems of deeds that are done in their clime,

Where the rage of the vulture – the love of the turtle –

Now melt into sorrow – now madden to crime? –

Know ye the land of the cedar and vine?

Where the flowers ever blossom, the beams ever shine,

Where the light wings of Zephyr, oppressed with perfume,

Wax faint o’er the gardens of Gùl in her blossom?

………………………………………………………………………….

‘Tis the clime of the East – ‘tis the land of the Sun –

 

(The Bride of Abydos, vv. 1-16)

 

 

2Recollections of the Last Days of Shelley and Byron, Edward John Trelawny, 1858.

 

3 Stessa edizione dell’aggiunta alla prefazione, si veda nota 6.

 

4Byron’s Poetry, p. 13

 

5 Per entrambe le citazioni, Fiona MacCarthy, Byron: Life and Legend, p. 248 per il diario londinese, p. 389 per il diario ravennate.

 

6Byron’s Poetry, p. 25

 

7 Il suggerimento che questo componimento giovanile sia una sorta di dichiarazione poetica, e che dunque indichi che Byron, già a questa altezza, prediligeva il realismo e l’aderenza ai fatti e alle esperienze rispetto alla finzione, è stato avanzato da L. A. Marchand. Si veda sempre Byron’s Poetry, cit. p. 16

 

8Byron’s Poetry, p. 159

 

9Letters and Journals, IV, 342-343. Lettera del 12 agosto 1819 a John Murray, tramite Marchand.

 

10Letters and Journals, V, 346. Lettera del 23 agosto 1821. Come sopra.

 

11Byron’s Poetry, p. 164

 

12Byron: Life and Legend, p. 366

 

13Lord Byron: Selected Letters and Journals, a cura di L. A. Marchand. Lettera di Byron del 6 settembre 1813 ad Annabella Milbanke, p. 65

 

14Don Juan, Stanza 60, Canto XI.

 

15 Per l’intero discorso sulla naturale tendenza all’idealismo di Byron e sulla sua collocazione all’interno del panorama romantico inglese, si rimanda a Byron’s Poetry, pp. 6-7

 

16Byron’s Poetry, pp. 6-7

 

17 H. N. Fairchild, The Romantic Quest, 1931, p. 370