Don Abbondio, Don Quijote e il sentimento del contrario

 

    L'arte non può nascere da una aggregazione di elementi, da una somma o da una combinazione razionale di fattori. Secondo Pirandello "la creazione dell'arte è spontanea: non è composizione esteriore, per addizione d'elementi di cui si siano studiati i rapporti: di membra sparse non si compone un corpo vivo, innestando, combinando. Un'opera d'arte, insomma, è, in quanto è <<ingenua>>; non può essere il risultato della riflessione cosciente".

    Anche per Pirandello, come già per Leopardi, una certa ingenuità riesce a operare sintesi, a sciogliere contrasti: essa sa far nascere, oltre che talora il pianto, anche un sorriso spontaneo e naturale. Un sorriso più interiore che esteriore, e per questo luminoso e franco, a volte appena accennato, che allude a tutto un retrogusto della vita che è fatta appunto di contrasti, di scintille e mediazioni, di opposizioni che si sciolgono in nuova confidenza e fiducia.

    L'umorismo porta alla luce secondo Pirandello l'esperienza di un tale contrasto, dell'opposizione latente tra discorso cosciente e lo sviluppo del suo complemento, e cioè di quel "sentimento del contrario" che si profila in maniera spesso silenziosa sul fondo della coscienza. Nel suo saggio sull'umorismo Pirandello scrive infatti: "Ogni sentimento, ogni pensiero, ogni moto che sorga nell'umorista si sdoppia subito nel suo contrario: ogni sì in un no, che viene infine ad assumere lo stesso valore del sì. Magari può fingere talvolta l'umorista di tenere soltanto da una parte: dentro intanto gli parla l'altro sentimento che pare non abbia il coraggio di rivelarsi in prima; gli parla e comincia a muovere ora una timida scusa, ora un'attenuante, che smorzano il calore del primo sentimento, ora un'arguta riflessione che ne smonta la serietà e induce a ridere. Così avviene che noi tutti dovremmo provar disprezzo e indignazione per Don Abbondio, per esempio, e stimar ridicolissimo e spesso un matto da legare Don Quijote; eppure siamo indotti al compatimento, finanche alla simpatia per quello, e ad ammirar con infinita tenerezza le ridicolaggini di questo, nobilitate da un ideale così alto e puro".

    L'umorismo scaturisce dunque da questo contrasto vitale tra il riferimento a valori alti e razionali e la consapevolezza della debolezza e della fragilità umana che ne rende per molti assai improbabile la realizzazione, consapevolezza che può indurre a sviluppare un sentimento di simpatia o di pietà, e comunque che è in grado di suscitare un sorriso divertito, quando non una sonora risata.

    "Dove sta il sentimento del poeta? Nel disprezzo o nel compatimento per Don Abbondio? – si chiede Pirandello -. Il Manzoni ha un ideale astratto, nobilissimo della missione del sacerdote sulla terra, e incarna quest'ideale in Federico Borromeo. Ma ecco la riflessione, frutto della disposizione umoristica, suggerire al poeta che questo ideale astratto soltanto per una rarissima eccezione può incarnarsi e che le debolezze umane son pur tante. Se il Manzoni avesse ascoltato solamente la voce di quell'ideale astratto, avrebbe rappresentato don Abbondio in modo che tutti avrebbero dovuto provar per lui odio e disprezzo, ma egli ascolta dentro di sé anche la voce delle debolezze umane. Per la naturale disposizione dello spirito, per l'esperienza della vita, che gliel'ha determinata, il Manzoni non può non sdoppiare in germe la concezione di quell'idealità religiosa, sacerdotale: e tra le due fiamme accese di Fra Cristoforo e del Cardinal Federico vede, terra terra, guardinga e mogia, allungarsi l'ombra di Don Abbondio. E si compiace a un certo punto di porre a fronte, in contrasto, il sentimento attivo, positivo, e la riflessione negativa; la fiaccola accesa del sentimento e l'acqua diaccia della riflessione; la predicazione alata, astratta, dell'altruismo, per veder come si smorzi nelle ragioni pedestri e concrete dell'egoismo".

   Pirandello distingue tuttavia, e molto chiaramente, l'umorismo sia dall'ironia sia dalla comicità. Quando Ruggiero, ne L'Orlando furioso, vola sull'Ippogrifo, la scena viene descritta con ironia dall'Ariosto,  dato che è proprio l'ironia che consente al poeta di prendere le distanze da quel mondo e di narrarne con la giusta distanza le vicende; mentre quando Don Quijote assalta i molini a vento dopo averli minacciati produce un effetto umoristico, perché il lettore è indotto a simpatizzare con il suo rigore, con la fedeltà ai suoi ideali e persino con una certa dosa di razionalità nell'argomentare le sue ragioni che ha, pur nella follia, in qualche modo conservato.

    Non meno sottile è la distinzione tra il comico e l'umoristico: ne I Promessi sposi Don Abbondio ha paura, ma mentre "il pauroso è ridicolo, è comico, quando si crea rischi e pericoli immaginari", se invece un pauroso ha veramente ragione d'esserlo - anche perché il coraggio, uno non se lo può dare – allora suscita commiserazione, e di nuovo una qualche simpatia, che non è prodotta dalla comicità della situazione di per sé, ma dal sentimento del contrario, per il quale l'ideale - in questo caso quello religioso, qual è incarnato da Fra Cristoforo o da Cardinale Borromeo - non può incarnarsi se non in rare eccezioni, mentre risulta umano che la sua compiuta incarnazione spesso fallisca con un certo fragore.

   Cosa suscita dunque Don Abbondio? – si chiede Pirandello: "Bonarietà? Una simpatica indulgenza?". Per quanto tutte queste definizioni possano risultare molto approssimative, lasciano intuire che l'effetto comico è in questo caso accompagnato e corretto da una sorta di "compatimento del povero curato", compatimento che ci aiuta a comprendere come tutti noi siamo comunque esposti a questi stati d'animo dimessi e impauriti che costituiscono il contraltare dei grandi ideali e dei grandi imperativi morali. C'è insomma nell'umorismo una sorta di pietà, di simpatia e partecipazione che non accompagnano invece il comico e l'ironico; c'è un sentimento che integra e completa qualche ideale più alto e nobile e questo sentimento può essere portato alla luce dall'arte, che sa renderlo consapevole nell'anima facendole ritrovare al suo interno l'eco di un'ingenuità originaria e consentendole di riscoprire, come comprese chiaramente Terenzio, che in quanto umana nulla di umano le è estraneo.