Il desiderio di menzogna e la scelta dei candidati


Reflexions sur le mensonge (trad. it Sulla menzogna politica, Lindau editore, Torino, 2010) fu pubblicato per la prima volta negli Stati Uniti nel 1943 e poi ripubblicato due anni dopo nella <<Contemporary Jewish Record>>, nel contesto del dibattito, che si stava proprio in quel periodo avviando, sui crimini nazisti contro l’umanità. In questo breve saggio, il grande storico della scienza e filosofo Alexandre Koyré fornisce una lucida e impietosa analisi della soggezione delle “masse” ad una sistematica menzogna politica, in particolare nel contesto dei regimi totalitari del Novecento.
Per lo studioso russo (ma culturalmente di adozione francese) la menzogna moderna è “fabbricata in serie e si rivolge alla massa”. Poiché ogni produzione destinata alla massa è destinata ad abbassare i propri standard, nulla si rivela altrettanto grossolano dei contenuti delle asserzioni della propaganda moderna, “che rivelano un disprezzo assoluto e totale della verità. E addirittura della mera verosimiglianza. Disprezzo che è uguagliato solo da quello – che esso implica – per le facoltà mentali di coloro a cui essa si rivolge” (trad. it. p. 11).
Tale disprezzo si sviluppa parallelamente a una crescente indifferenza o intolleranza verso l’idea stessa di verità. Non a caso, nei regimi totalitari si è soppressa la fiducia stessa nell’esistenza di una verità oggettiva, subordinando la stessa nozione di verità a fattori come lo spirito della razza, della nazione o della classe (cfr. ivi, p. 12). Il tradimento operato dai chierici in tali sistemi politici, l’abdicazione alla funzione critica che loro compete, gli ha progressivamente trasformati in “educatori” ideologicamente supini a un potere totalitario e capillarmente diffuso in ogni settore della società.
Il pensiero, per questi chierici arruolati e omologati, ha cessato di essere una luce per comprendere la realtà e si è trasformata in un’arma, tanto subdola quanto retoricamente ben attrezzata, per modificare la realtà e coltivare la menzogna come un imprescindibile strumento di potere. Secondo Koyré essi non disprezzano la ragione discorsiva e calcolante, che è uno strumento di potere sulla natura e sugli altri esseri umani; essi aborriscono piuttosto l’intelligenza intuitiva, ciò che i greci chiamavano Nous, ovvero il tipo più elevato d’intelligenza, quello che permette di operare i collegamenti più profondi e meno scontati (cfr. ivi, pp. 37-38).
Questi chierici di regime, ostili a qualsiasi forma di onestà intellettuale, ritengono la massa incapace di capire e per questo pensano di aver diritto di mentirle. Poiché la massa non sa pensare né volere, qualsiasi inganno o raggiro che la usi come mero strumento di potere, e quindi qualsiasi menzogna “politica”, dal loro punto di vista non solo è giustificata, ma persino auspicabile per il buon andamento delle cose d’interesse comune.
Un simile culto della menzogna, tuttavia, non si è fatto strada solo all’interno delle società totalitarie. Si può infatti ritenere, sulla scia delle considerazioni di Koyré – che per alcuni tratti sembrano procedere affiancate ad altre simili della Weil, di Le Bon o di Ortega y Gasset  - che anche nell’ambito delle democrazie occidentali chiunque eserciti una funzione pubblica debba saper mentire, perché il non saperlo fare attesterebbe la sua inaffidabilità agli occhi dei suoi stessi colleghi.
Ogni dirigente di partito è infatti obbligato a mantenere dei segreti, a non dire tutto, a omettere sistematicamente e deliberatamente qualche aspetto o fatto rilevante; ogni sua pubblica dichiarazione si rivela spesso “un crittogramma e una menzogna” (ivi, p. 35), che la massa degli adepti prenderà tuttavia per vera, dimostrandosi così indegna di entrare a far parte dell’elite degli iniziati, e cioè di quei bugiardi più credibili, disinvolti e sistematici che occupano le posizioni più alte nella gerarchia del potere.
Gli iniziati sono coloro che, conoscendo il pensiero intimo e profondo del capo, “non restano turbati dalle contraddizioni e inconsistenze delle sue asserzioni pubbliche: sanno che esse perseguono lo scopo di confondere le masse, gli avversari, gli altri e ammirano il capo che usa e pratica così bene la menzogna. Quanto agli altri, a quelli che credono, essi mostrano di essere insensibili alla contraddizione, impermeabili al dubbio, incapaci di pensare” (ivi, p. 36). Essi sono animali parlanti e creduli, che non pensano perché sono convinti di qualsiasi cosa già prima di pensare, e sono quindi portati ad assecondare i più sfacciati semplicismi ideologici. Guidati dal risentimento e dall’invidia sociale essi tendono a credere nei paralogismi più grossolani, nei pregiudizi più infantili e nei dogmi più nefasti. Il loro spirito gregario autorizza così, agli occhi delle elite, il loro progressivo immiserimento culturale, che viene indotto a prescindere da quale sia la visione del mondo e della società che tali elite prediligono. Naturalmente, queste denotano un carattere ben poco nobile, ma hanno comunque almeno un merito: quello consistente nel saper smascherare lo spirito servile che caratterizza le masse, che si dimostrano spesso inclini a lasciarsi persuadere e imbonire da politici senza scrupoli, quasi fossero attraversate dal desiderio che venga loro sempre elargita qualche nuova menzogna in cui credere.
Con il suo saggio Psicologia delle folle (1985), Gustav Le Bon aveva già involontariamente fornito a tutti i dittatori futuri un prezioso vademecum su come raggirare e utilizzare le masse:  Lenin, Mussolini, Stalin e Hitler furono tutti meticolosi lettori ed estimatori della sua opera, che insegnò loro persino il non semplice artificio psicologico di credere alle proprie stesse menzogne. Il saggio di Koyré non ebbe altrettanto successo di quello di Le Bon presso i dittatori del Novecento, ma purtroppo non ne ha avuto nemmeno uno proporzionale ai suoi meriti presso i cittadini elettori delle democrazie occidentali, che si rivelano spesso propensi ad abbracciare le teorie e le proposte elettorali più demagogiche e gratificanti per la loro immaginazione piuttosto che quelle più razionali e meglio argomentate.
Anche i cittadini delle moderne società liberal-democratiche non sembrano infatti immuni dal rischio di preferire le proposte di quello che Robert Musil definiva - nei suoi diari, durante il primo conflitto mondiale - il candidato ideal-tipico Signor Comesivuole rispetto a quelle del candidato, altrettanto ideal-tipico, Signor Comesideve (R. Musil, Herr Tuchting und Herr Wichting, in Soldaten Zeitung, n° 12 del 27 Agosto 1916, pp. 3-4). Così come quest’ultimo è intelligente – troppo intelligente per la massa degli elettori, che per questo nutrono nei suoi confronti una spontanea diffidenza - colto, onesto e indipendente, il signor Comesivuole è invece privo di onesta intellettuale e incline a pronunciare sempre le parole che tutti si aspettano da lui in ogni circostanza. Risulta così molto più popolare del primo, cosa che gli conferisce il diritto di nutrire la legittima aspettativa di ricevere incarichi e mandati, obiettivo che riesce spesso a conseguire anche per il saper esibire in ogni situazione una sorridente faccia tosta.
Al momento opportuno, infatti, il signor Comesivuole sa allungare la mancia giusta e riesce sempre trovare gli argomenti più accattivanti e politicamente idonei per convincere qualsiasi funzionario o dirigente della ragionevolezza delle sue intenzioni. Viene per questo sempre trattato con ossequiosa cortesia e stimato dai colleghi di partito per il consenso che sa produrre. Il fatto che anteponga ad ogni altra istanza i propri interessi particolari costituisce in effetti solo l’indizio positivo che saprà anteporre anche quelli del suo gruppo politico agli interessi più generali del paese e della cittadinanza, requisito questo necessario per poter scalare rapidamente la gerarchia interna del suo stesso partito.
Per evitare che le moderne democrazie parlamentari degenerino progressivamente, come paventava Hobbes, in “aristocrazie di oratori”, l’elettore può soltanto, secondo Musil, cercare di individuare e votare candidati Comesideve senza lasciarsi imbonire da candidati Comesivuole; dal canto loro, i candidati eletti dovrebbero opporsi a qualsiasi forma di corruzione e non diventare mai strumenti per la realizzazione delle esigenze di questo o quel partito o di gruppi particolari di cittadini, ma essere al servizio di tutto il popolo e dello Stato. 
Ma come riconoscere i candidati Comesideve di cui parla Musil? Probabilmente, coloro che si avvicinano di più a poter essere inclusi in tale categoria sono quelli che si mostrano meno smaniosi di detenere cariche pubbliche o ricevere mandati, che non amano fare promesse che potrebbero rivelarsi avventate e che sono più inclini a usare argomenti piuttosto che asserzioni, dimostrandosi così, in quanto cultori di quella che Habermas definisce “ragione comunicativa”, sempre anche rispettosi delle altrui opinioni. Quest’ultima loro disposizione dialogica potrebbe poi essere a sua volta riconosciuta grazie al fatto che solo essi sono in grado, durante una discussione con i loro avversari politici, di mutare opinione, almeno su qualche aspetto particolare del tema in oggetto. Questi tre indizi possono forse rendere riconoscibili meglio di altri i candidati Comesideve e mitigare i danni che recano abitualmente a ogni comunità i loro contraltari ideal-tipici, i demagoghi opportunisti, ovvero quei signori Comesivuole che sono attivi in ogni contesto storico-politico e di cui sarebbe auspicabile che ogni Democrazia imparasse a fare progressivamente a meno.