Siamo uomini o caporali?!

Ovvero, come possono cavarsela i “dubbiosi” tra “buoni”,  “cattivi”… e “caporali”.

(Alcune considerazioni semiserie di filosofia politica).

     

 


Sotto il profilo politico, si potrebbero distinguere quattro tipologie fondamentali di cittadini che, con termini deliberatamente convenzionali, potremmo definire dei “buoni”, dei “cattivi”, dei “dubbiosi” e dei “caporali”. Ogni gruppo politicamente significativo è costituito da un insieme di persone, elettori e politici di professione, che condividono un’idea o un progetto. Le categorie dei “buoni” e dei “cattivi” sono composte da individui che tendono ad attribuire sistematicamente agli altri le idee, i progetti e anche i comportamenti “peggiori” e che quindi sono portati a ritenersi i “buoni” a fronte dei loro competitori o avversari, che sarebbero invece i “cattivi”. Si tratta quindi di categorie relative, che si definiscono reciprocamente, ma che sono comunque ben individuabili. La categoria dei “dubbiosi”, invece, è formata da coloro che, cercando di valutare ogni proposta politica in maniera non pregiudiziale e razionale, possono trovarsi di volta in volta d’accordo con gli uni o gli altri, o con alcune parti e aspetti delle loro proposte.

La categoria dei “caporali” – illustrata molto bene da Totò nel film “Siamo uomini o caporali?” – è invece una categoria trasversale. Sviluppando qui liberamente l’idea proposta da Totò nel suo film (“suo” perché si tratta di un’opera che contribuì anche a scrivere e a cui teneva in modo particolare), se i “buoni”, i “cattivi” e i “dubbiosi” possono essere annoverati tra gli “uomini”, i “caporali” possono invece far parte solo della categoria dei “caporali”. Coloro che appartengono a questa categoria amano il potere per il potere e sovente la burocrazia che il potere amministra, adorano cioè sopra ogni cosa le varie ed estese gradazioni del potere in qualsiasi modo questo possa esercitato e interpretato.
Il “ceto burocratico”, che in una certa misura è indispensabile per la gestione della cosa pubblica, in alcuni paesi e in alcuni momenti storici ha raggiunto proporzioni esorbitanti proprio per il predominio di questo gruppo. La gestione della cosa pubblica - che dovrebbe mirare al benessere della polis e della cittadinanza - quando è nelle loro mani si rivela, per motivi che sarebbe qui complesso elencare, in genere farraginosa e inefficace. Del resto, non si vede perché dovrebbe essere altrimenti, visto che queste persone non hanno tra le loro finalità primarie la buona amministrazione e la buona politica. Il gruppo dei “caporali” - ma in questo caso potremmo forse parlare anche di “ceto” in senso weberiano –  trae infatti una specifica e personale gratificazione dalla gestione di un qualsivoglia potere in quanto tale, a prescindere dalle ricadute che essa possa avere sulla vita dei cittadini: gli appartenenti a questo gruppo non hanno infatti come fine primario l’interesse, il benessere e la felicità della comunità cui appartengono.
Mentre i “buoni” e i “cattivi” possono essere mossi anche dall’intento di rendere vincente la loro idea o il loro progetto politico in ottemperanza alla realizzazione di questo fine, eventualmente anche a discapito di un vantaggio in termini di potere personale e/o partitico (è il caso di molti elettori e di qualche, probabilmente raro, politico), i “caporali” amano il potere per il potere e non si fanno scrupolo di usarlo nel modo per loro più conveniente. Si tratta di un gruppo trasversale in quanto molti dei suoi esponenti più smaliziati e tenaci si annidano spesso nelle fila sia dei “buoni” che dei “cattivi”, utilizzando il patrimonio ideale e culturale di entrambi i gruppi per conseguire il loro obiettivo primario e rischiando così di trasformare ogni democrazia che non sia pienamente consapevole delle sue prerogative in ciò che vi ravvisava Thomas Hobbes, ovvero in “un’aristocrazia di oratori”. Essi sono infatti, quasi sempre, buoni oratori, capaci di sbandierare anche le più nobili intenzioni, ma la loro capacità di persuadere è sovente inversamente proporzionale alla volontà di realizzare le finalità che dichiarano di prediligere.
Coloro che, tra i “buoni” e i “cattivi”, non fanno parte di questo gruppo, o ceto, trasversale, spesso faticano non poco per raggiungere ruoli di responsabilità all’interno dei rispettivi schieramenti di appartenenza e quindi a fornire il loro contributo alla causa che ritengono di dover perseguire.
All’interno di questo scenario, i “dubbiosi” sono invece coloro che restano in margine alla vita politica, ovvero che stanno a guardare. La loro natura di dubbiosi li rende infatti piuttosto inetti a fornire un contributo rilevante al conseguimento degli obiettivi sia dei “buoni” che dei “cattivi”, e del resto la cosa interessa loro solo in via secondaria, essendo orientati soprattutto a capire, a fare, o a fare entrambe le cose, e cioè a capire quale potrebbe essere la soluzione migliore per ogni problema sul tappeto e poi fare tutto ciò che è necessario per realizzarla.
Quest’ultima categoria sembra quindi destinata a rimanere politicamente irrilevante, o quasi irrilevante. “Quasi” perché, talvolta - quando il loro numero, per ragioni in parte misteriose e in parte imputabili ad un non capillare o inefficace controllo dell’informazione e della comunicazione da parte degli altri tre gruppi, riesce ad essere abbastanza nutrito - possono incidere, con le loro valutazioni tendenzialmente razionali, al successo degli uni o degli altri, ovvero dei “buoni” o dei “cattivi”.
Sebbene le valutazioni e le decisioni dei “dubbiosi” riescano talvolta ad incidere in tal senso, essi sembrano però del tutto impotenti ad arginare il potere dei “caporali”, e ciò proprio perché, annidandosi questi ultimi in tutte o quasi le posizioni di potere all’interno di ognuno dei due schieramenti in competizione (diciamo due per semplificare, ma spesso sono più di due) essi si trovano di solito sempre ai vertici anche dello schieramento vincente.
I “caporali” sono quindi, in genere, destinati a guidare i due gruppi, salvo i casi in cui personalità politiche veramente “buone” o “cattive” – ovvero motivate realmente da un progetto politico in cui credono nell’interesse generale della cittadinanza di appartenenza - non riescano ad emergere e a contrastare decisamente la loro azione. Pur essendo i “dubbiosi”, anche in questo caso, destinati a rimanere a guardare, persistendo nel loro atteggiamento critico e talora scettico, tuttavia, poiché le personalità politiche in grado di opporsi al potere dei “caporali” sono di solito proprio quelle che sanno tener conto delle istanze e delle ragioni dei “dubbiosi” stessi, il loro ruolo potrebbe rivelarsi inaspettatamente rilevante o addirittura decisivo, contribuendo così a rendere più civile e costruttivo anche il confronto tra i “buoni” e i “cattivi”.
Ma cosa potrebbero fare i “dubbiosi” per incidere in una misura maggiore e meno discontinua sulla politica dei gruppi dominanti in modo da ostacolare il potere dei “caporali”, che sono i loro principali contraltari psicologici e politici nonché, solitamente, i loro più strenui vessatori? In Italia, per esempio, essi potrebbero innanzi tutto essere uniti nella rivendicazione di un diritto che dovrebbe essere garantito in ogni Stato liberale e democratico: quello che consiste nel poter indicare, tra i vari candidati dei “buoni” e dei “cattivi”, le persone che ogni elettore virtuale può ritenere mosse da un reale interesse per il bene comune piuttosto che dall’incremento del loro potere personale e/o da quello del loro gruppo di appartenenza. Quindi, una volta che fosse riconosciuto questo sacrosanto diritto, potrebbero avere l’accortezza di cercare d’individuare e di appoggiare i concittadini meno inclini ad un esercizio caporalesco del potere loro conferito.