Un'intervista al Principe di Salina sull'Italia di oggi

 

I: La ringrazio ancora, Don Fabrizio, per avermi concesso quest'intervista, che inizio col porle una domanda che ho in serbo da tempo: lei ha affermato, all'interno dell'opera del suo discendente che l'ha fatta conoscere al grande pubblico, che i siciliani non vogliono cambiare, non vogliono migliorare, perché in fondo presumono di essere perfetti, perché la loro vanità, ma anche il loro desiderio d'oblio, gli impediscono di desiderare o auspicare qualsiasi mutamento. Ritiene quindi che i problemi fondamentali della Sicilia, ma anche dell'Italia, visto che si tratta in buona parte degli stessi, siano problemi insolubili?

 

Principe: A quali problemi si riferisce?

 

I: Mi riferisco per esempio alle ampie sacche d'inefficienza e corruzione, alla burocrazia ipertrofica che le alimenta, ai molti giovani che anche per queste ragioni sono indotti a emigrare e al fatto che, nonostante alcuni successi nella lotta alla criminalità organizzata, le mafie continuano a prosperare come prima e più di prima.

 

Principe: Come ebbi già a dire al cavalier Chevalley, alla cui cortese offerta di un posto nel Senato del nuovo regno replicai illustrandogli le ragioni della mia disillusione, secondo me ormai è tardi per cambiare. Una volta che si è formata la crosta viene meno ogni reale intenzione di cambiamento. Per questo i giovani farebbero bene ad andarsene prima. Vede, nessun problema del genere è insolubile, ma tutti lo sono quando non si ha alcuna intenzione di affrontarli e risolverli. Prenda per esempio il problema della criminalità organizzata, visto che vi ha fatto cenno con la sua domanda: ma lei pensa veramente che se uno Stato moderno volesse realmente combatterla ed eliminarla in oltre un secolo non ci sarebbe riuscito?

 

Intervistatore (I): Non saprei, secondo lei?

 

Principe: Nessun Stato moderno discretamente efficiente e realmente democratico è impotente verso le mafie: può trovarsi a gestire con qualche difficoltà questi fenomeni per qualche periodo di tempo, ma poi ne viene a capo. Diverso è il caso quando la criminalità organizzata ha avuto modo di diventare per fatturato di gran lunga la prima azienda di un paese. Quale Stato potrebbe mai avere interesse a smantellare un'impresa simile? Quale potrebbe trovare la forza e la determinazione per farlo? Ha idea del contraccolpo economico, e dunque anche politico, che una simile operazione comporterebbe?

 

I: Immagino un notevole danno economico, e di riflesso magari anche politico. In effetti la criminalità organizzata è di gran lunga la prima azienda italiana. Se non ricordo male la sola Ndrangheta è la quarta organizzazione di stampo mafioso nel mondo, con circa settanta miliardi di fatturato.

 

 

Principe: Ecco, vede, si può quindi facilmente comprendere perché la loro influenza sulla Stato e sulla politica sia molto maggiore di quanto possa presumere un comune cittadino: l'indotto di questa mega impresa, tra l'altro multinazionale, è tale che se essa fosse chiusa e smantellata le conseguenze sociali sarebbero imprevedibili, e forse non controllabili. Per dare un'idea ancora più precisa del fenomeno di cui stiamo discutendo, consideri che un’ipotetica società che contenga tutte le attività della mafia, almeno secondo le stimedi Confesercenti, realizzerebbe utili per circa 105 miliardi l'anno, ovvero circa trenta o quaranta volte superiori a quelli di aziende come Intesa Sanpaolo, Enel, Telecom o Luxottica. È stato infatti calcolato che, se fosse quotata in borsa, una società come la mafia, in senso esteso, potrebbe valere circa 1700 miliardi, vale a dire quasi il triplo di tutte le 260 società italiane che vi sono attualmente quotate.

 

I: Eppure, nonostante questi dati, alla mafia sono stati inferti anche duri colpi nel passato, anche in quello abbastanza recente.

 

Principe: si tratta di colpi abbastanza illusori. La mafia è un'organizzazione di potere paramilitare di tipo piramidale, e l'arresto dei suoi vertici è semplicemente un modo con cui essa rinnova la sua classe dirigente, con la rassegnazione che deve accompagnare la morte di ogni cosa. Non è un caso che la maggior parte degli arresti eccellenti siano di boss nella parte terminale della vita.

 

I: Ma sono stati confiscati terreni, dimore anche lussuose, sono stati trasformati in luoghi di pubblica utilità… non pensa che in questo modo a poco a poco le popolazioni che sono ancora sedotte dalle logiche mafiose potranno prendere coscienza e abbandonarle fino a determinare la sconfitta della mafia in modo definitivo?

 

Principe: Guardi, tutte le vittorie conseguite dallo Stato in queste battaglie di piccolo cabotaggio hanno come effetto principale solo quello di fornire al popolo l'illusione che la mafia stia per essere sconfitta. In realtà, nessuno dei suoi grandi interessi è stato mai seriamente intaccato e il suo giro d'affari è in aumento, ma naturalmente bisogna che i cittadini abbiamo almeno l'illusione che essa sia combattuta in maniera efficace, per cui ogni tanto si confisca qualcosa, ogni tanto c'è un arresto eccellente di qualche figura a fine carriera, o comunque di qualcuno che è stato scavalcato nella gerarchia della piramide interna.

 

I: Ma se le cose stessero così, quale sarebbe stato il ruolo di figure come Carlo Alberto Dalla Chiesa, Giovanni Falcone o Paolo Borsellino?

 

Principe: Si tratta di grandi servitori dello Stato, di personalità eccezionali che stavano riuscendo a combattere la mafia in maniera efficace e che proprio per questo sono stati uccisi. Sono gli eroi e i martiri di cui c'era bisogno per dare l'impressione che la mafia stesse per essere sconfitta e che lo Stato fosse impegnato a combatterla. Questo era vero, ma solo come strategia transitoria ed apparente: per dare cioè l'impressione, per parafrasare un'espressione di mio nipote Tancredi, che tutto potesse cambiare, o fosse sul punto di cambiare, affinché nulla cambiasse. In realtà, gli eroi e i martiri non sono mai la soluzione, ma spesso sono soltanto la copertura ideale per una soluzione mancata. Per poter intraprendere azioni realmente efficaci ci vorrebbero scelte coraggiose e in parte anche rischiose, ma realmente condivise da una consistente maggioranza nel paese.

 

I: Per esempio… a cosa sta pensando?

 

Principe: Sto pensando al superamento di tutta una legislazione che in realtà favorisce gli interessi mafiosi, a iniziare da quella che regola gli appalti, fino alla legalizzazione del commercio di alcune droghe leggere unitamente a un'azione di reale prevenzione del loro uso, e poi al fatto che bisognerebbe rassegnarsi alla necessità di utilizzare i servizi segreti, perché un'organizzazione militare la si può sconfiggere solo anche sul piano militare. Naturalmente, è evidente che attuare una simile politica non è semplice e presenta indubbiamente alcuni rischi, anche sotto il profilo costituzionale, e che per realizzarla ci vorrebbero comunque dei Gattopardi, dei Leoni, tanti Dalla Chiesa, Falcone e Borsellino, ma presenti trasversalmente in tutte le forze politiche, che dovrebbero essere in grado di compattarsi intorno ai valori comuni al di là delle varie bandierine di partito. In ogni caso, solo attraverso l'esercizio dell'onestà intellettuale di ognuno questo paese potrà avere qualche possibilità di evolversi, di liberarsi non solo della mafia, ma anche dell'azione nefasta degli sciacalletti e delle iene di cui si compone sempre più la maggioranza della classe politica.

 

I: Quindi, se ho ben capito, anche lei potrebbe essere annoverato tra i critici della "casta"?

 

Principe: Per carità! Guardi, i critici della casta sono da sempre coloro che vorrebbero sostituirsi alla casta, ovvero, appunto, coloro che vorrebbero cambiare tutto per essere loro a gestire il non cambiamento. Chi vuole davvero cambiare le cose fa proposte concrete, si sporca le mani e rischia di sbagliare, e si dimostra poi in grado anche di ammettere i suoi eventuali errori.

 

I: Ce ne sono secondo lei stati molti negli ultimi tempi?

 

Principe: Molti, e anche sciagurati.

 

I: Per esempio?

 

Principe: Per esempio il reddito di cittadinanza. Il grande Ernesto Rossi aveva già spiegato le sue controindicazioni circa un secolo fa. In Abolire la miseria, un testo che oggi quasi nessuno legge più, lui spiega che si tratta in realtà di una tassa sull'occupazione e suggerisce di adottare al suo posto ben altre misure, sicuramente più efficaci per combattere la povertà.

 

I: E poi… quali altri errori particolarmente evidenti ha ravvisato negli ultimi tempi?

 

Principe: C'è solo l'imbarazzo della scelta: da quella trovata ridicola dei banchi a rotelle fino ai sussidi per acquistare monopattini, cioè utili strumenti per riempire i reparti di pronto soccorso, ma soprattutto, più in generale, a parte questi sintomi d'una incompetenza e una malafede sempre più diffuse, trovo preoccupante la degenerazione del livello del confronto pubblico tra le diverse fazioni politiche.

 

I: In che senso?

 

Principe: Nel senso che mi pare preoccupante il fatto che non sia possibile intraprendere una discussione non ideologica su alcun argomento, riconoscendo in parte le ragioni dell'avversario politico. Questo impedisce tra l'altro che si possa arrivare a compromessi ragionevoli. Prenda per esempio il tema dello Ius soli, di cui oggi si è tornati a discutere: è stata avanzata la proposta, se non ricordo male da Marco Taradash, di concedere la cittadinanza a tutti i bambini che ne siano sprovvisti al termine del primo ciclo d'istruzione: siccome è una proposta poco ideologica, a nessun grande partito è venuto in mente di prenderla in considerazione. E così verranno perpetuate queste e molte altre manifestazioni d'inciviltà.

 

I: Inciviltà, addirittura, gliene vengono in mente altre?

 

Principe: una per tutte, e poi chiudiamo, perché domattina devo alzarmi presto per andare a caccia: prenda il tema dell'eutanasia. In Italia, secondo me giustamente, non è ammessa la pena di morte, e ce ne vantiamo senza aver nemmeno mai preso in esame seriamente le ragioni degli Stati che invece l'ammettono, e non è ammessa la tortura, però è consentita la tortura di persone innocenti che vorrebbero solo morire per cessare di soffrire, con la sola conseguenza di procurare loro una morte lenta e dolorosa, una morte sotto tortura. E con questo credo che possa bastare.

 

I: C'è un progetto di referendum in merito...

 

Principe: Bene, speriamo che passi. (Alzandosi) E con questo la saluto. Buona vita e buona morte.

 

I: Grazie, altrettanto, anche se presumo lei possa ormai considerarsi immortale.

 

Principe: Fossi in lei non ci scommetterei. Se le persone continuano a leggere quanto leggono e ciò che leggono magari de Il Gattopardo tra cento anni non ci sarà più traccia.