Una Palombella tra Habermas e Foucault

   I protagonisti di Palombella rossa sono, per certi versi, comici e malpratici, ma sulle questioni che contano si dimostrano drastici e risoluti, poco comprensivi e scarsamente duttili. Nonostante gli impacci che manifestano quando si tratta di misurarsi con certe mode imperversanti, sanno irrigidirsi al momento giusto fino a sembrare intolleranti ed impazienti.

   Sotto questo profilo, lo “smemorato” protagonista di Palombella rossa non apporta sostanziali novità. Cercando di ritrovare valori coerenti con il proprio passato di militante manifesta una diffusa idiosincrasia per tutti quei modi di pensare e di dire che caratterizzano gli altri personaggi dei film come caricature divertenti di altrettanti stereotipi culturali. Soddisfatti di potersi identificare con qualche ruolo o missione trovati come per caso nel guazzabuglio dei modelli comportamentali offerti dal mercato, essi corroborano l'ipotesi di Foucault, secondo la quale il potere è tanto più strisciante e nascosto tanto più è penetrante ed efficace.

   Da qui la convinzione, trasparente nel film, che tale potere debba essere affrontato a partire dalle sue concrezioni individuali, là dove si maschera dietro slanci apparentemente spontanei o credenze di facile consumo. Simili caratteristiche inducono spesso a parlare dei film di Moretti come di opere “moralistiche”, valutazione che lascia però piuttosto perplessi se si considera che il significato di tale termine è tendenzialmente riduttivo. «Moralista» si dice, di solito, qualcuno che è portato a ricondurre ad un proprio ordine di principi morali problemi e situazioni che hanno spesso motivazioni più articolate e complesse, e se una simile valutazione appare giustificata in rapporto ai personaggi principali delle opere in questione, tuttavia non lo è nei riguardi dei loro senso complessivo.

   Il «moralismo» dei protagonisti è infatti, ad un tempo, reso estremo e mitigato dalle loro valutazioni perentorie e inappellabili, dai loro scatti di intransigenza e dalla loro cocciutaggine, che, producendo una sorta di catarsi comica, trasfigurano l'attitudine censoria dei personaggi interpretati dall'autore nella provocatoria testimonianza di bisogni socialmente diffusi e solo apparentemente sopiti. Dobbiamo, quindi, fare attenzione a non appiattire il senso delle storie morettiane sul carattere di tali personaggi, perché questi sono solo la leva che permette di sceverare questioni ancora più fondamentali di quelle che essi pongono in risalto con tanta ostinazione. In questo senso, anche le problematiche che sono di volta in volta in primo piano, non costituiscono il nucleo tematico principale delle rispettive opere, ma piuttosto il pretesto simbolico e storicamente attuale per riproporre problemi più essenziali ed ancora irrisolti.

   In Palombella rossa non siamo soltanto esplicitamente di fronte al tentativo di recuperare una memoria storica perduta, né ad una caparbia quanto soggettivistica polemica nei confronti delle degenerazioni del linguaggio e dei costumi culturali. Non si tratta solo di questo. Le specifiche contestazioni, cui il protagonista sottopone gli altri personaggi del film, sono tenute insieme da una prospettiva che fa loro da sfondo comune e che non consiste nella dimensione in senso stretto “politica” dei problemi sollevati.

   Se l'argomento centrale dei film fosse stato soltanto il rapporto che il “nuovo Pci” intrattiene con la sua tradizione ideologica o quello che i suoi militanti hanno con i valori del riflusso inoltrato, esso non direbbe niente di nuovo né di originale ed il suo tono complessivamente costernato e un po' indignato risulterebbe probabilmente fuori luogo. Ma il motivo per cui il film è riuscito a coinvolgere e a far discutere dipende, invece, dal fatto che ogni contestazione o insofferenza rivela un disagio più profondo di quello che può essere imputato a modi tanto specifici, un disagio che ha la sua origine nel bisogno di credere alla possibilità di comunicazione non fondata sulla meccanica applicazione delle convenzioni culturali socialmente dominanti.

    Proprio l'esigenza d'instaurare una simile comunicazione costituisce il movente etico che anima i film di Moretti nei quali essa si ripresenta ogni volta rinnovata ed intatta. Ma, se ha senso sostenere che questi hanno una prospettiva etica quale loro sfondo comune, allora è quantomeno approssimativo sostenere che si tratta di opere “moralistiche”. Mentre nella prima ipotesi esse rivendicherebbero valori e speranze già inconsciamente comuni, se interpretate come film «moralistici» rivelerebbero la tendenza dei regista a soprapporre le proprie valutazioni morali alle scelte ed ai comportamenti correnti, senza tuttavia riuscire a cogliere la sofferenza e il diffuso disagio da questi celati. Se quest'ultima sembra essere effettivamente la via intrapresa dal Moretti personaggio (Michele), ciò che di essa resta dopo il suo incontro-scontro con la realtà è di natura completamente diversa: è l'appassionato tipo collettivo per l'inseguimento di Lara da parte di Zivago, il quieto abbandono del luogo dove si esercitano convenzioni comunicative ormai svuotate di senso per accedere a quello in cui si saldano e solidificano i presupposti di una nuova «etica della comunicazione», la quale si fonda come Habermas ha posto in evidenza, su un modello di razionalità radicalmente eterogeneo rispetto a quello meramente «strumentale» attualmente preponderante.

   Nella parte finale di Palombella rossa l'effetto che il bisogno di comunicazione autentica provoca sul pubblico assiepato dentro ed oltre lo schermo può essere così introdotto e propiziato dalla reazione dei giocatori acquatici e dal loro improvviso silenzio che, avvolgendo il sogno ostinato del protagonista in un involucro trasparente e surreale lo spogliano del suo accento moralistico ed individualistico per farne l'interprete simbolico di un comune e più profondo disagio morale.

   Sono pochi i film che, nel nostro cinema, sono stati imperniati su una critica delle situazioni socio-culturali da cui traevano spunto e cui si proponevano di reagire, e tra questi ancora di meno quelli che hanno saputo coinvolgere un pubblico giovane incorporandolo come proprio interlocutore privilegiato e facendone l'interprete del proprio dissenso.

   Dopo la morte di Pasolini anche il cinema d'autore ha abbandonato, salvo Ferreri e qualche sporadica e parziale eccezione, tale tentativo, rinunciando a far passare qualsiasi posizione critica tra le maglie della chiacchiera culturale. Questo film di Moretti ci riesce, o almeno ci prova, «passando le linee» sia della produzione spettacolare che di quella moralisticamente «impegnata» e mettendo in discussione le regole dei potere e del mercato là dove più profondamente si annidano, ovvero in tutte quelle frasi fatte e quei comportamenti inerziali rispetto ai quali anche una semplice Palombella può costituire un tiro mancino e una reazione efficace e irriverente, in grado di distogliere chi vi partecipa dalla farsa comica ma pur sempre noiosa di cui ci scopriamo spesso attori involontari.